Clorofilia

Clorofilia Podcast

da un racconto di Marco Mastroleo

Come funziona il podcast e dove lo trovo?

Un gruppo di scienziati ed i loro figli attraversano a piedi l'Isola di Ponza, alla scoperta del “progetto Clorofilia”. La Ponza di Clorofilia, nel 2040, è un laboratorio a cielo aperto, un esperimento di adattamento al Climate Change.

Il viaggio, si intreccia con la storia dei Testimoni di GEA, una nuova religione nata sui Social.
Che rapporto c’è tra le due storie? Lo scopriremo durante l'ascolto.

La Ponza di Clorofilia è un espediente narrativo, un esperimento mentale per immaginare come potremmo essere tra 20 anni!

In più, un'appendice: una serie di interviste a scienziati e storici che ci guidano in questo lungo viaggio.

Il  Podcast è tratto da un racconto pubblicato su questo Blog tra 2020 e 2021.
Lo trovi qui di seguito

Indice:

Sinossi

1: Prologo (20/12/2020)
2: I Testimoni di Gea, parte 1 (27/12/2020)
3: Giorno 1, luce  (3/01/2021)
4: I Testimoni di Gea, parte 2 (10/01/2021)
5: Giorno 2, acqua (17/01/2021) - Parte 1
5: Giorno 2, acqua (20/01/2021) - Parte 2
6: I Testimoni di Gea, parte 3 (24/01/2021)
7: Giorno 3, fuoco (31/01/2021)
8: I Testimoni di Gea, parte 4 (7/02/2021)
9: Giorno 4, piante (14/02/2021)
10: I Testimoni di Gea, parte 5 (21/02/2021)
11: Giorno 5, tecnologia  (28/02/2021)
12: I Testimoni di Gea, parte 6 (7/03/2021)
13: Giorno 6, città (14/03/2021)
14: Epilogo (21/03/2021 - primo giorno di primavera)

Epilogo

Ho come un peso sullo stomaco, come quelle cose che sai di dover fare ma non ne hai voglia. Sono partito con la lancia in resta, in questa indagine, eppure adesso, che sono ad un attimo dalla vittoria, ora che devo sferrare l’ultimo colpo, ora che, da mastino quale sono, ho Zanna Bianca in pugno, non riesco a dare la stretta finale. Sono un mastino con la mascella afflosciata, sono una lancia spuntata!

Porca vacca. Che mi prende?

Forse è meglio fare un passo indietro. E riprendere da dove ho lasciato.

Dopo l’intervista con EL, Aurelio Belcanto, ho continuato ad indagare. Ho messo insieme altri pezzi.

Aurelio Belcanto ha studiato a Roma. I suoi compagni di Università dichiarano che fosse molto amico di un certo Michele. Indago su Michele e scopro che si tratta di un ecologo, tale Michele Altamura. Pare che i due fossero pappa e ciccia, inseparabili.

Michele Altamura ha scritto una tesi di laurea sui cambiamenti climatici ed il loro effetto sull’ecologia delle isole del Mediterraneo. Aurelio invece, laureato in Antropologia Culturale, ha scritto una tesi sulla percezione dei grandi fenomeni da parte dell’uomo. In particolare, l’ultimo capitolo parlava della nostra incapacità, come specie, di comprendere fenomeni grandi e complessi come il cambiamento climatico in atto.

Si sono laureati nel 2015 e poi, dal 2016, nessuno ha più avuto notizie di loro, in Università. Scomparsi.

Ma non per la Rete. È questo il bello del web, nessuno è invisibile!

Ho cercato articoli scientifici e post sui social. Due mesi di lavoro e di indagini, ma alla fine li ho beccati. Hanno scritto una cosa strampalata sul recupero di un acquedotto romano sull’isola di Ponza.

Tornava, tornava alla grande! La tesi di Michele parlava di Ponza e del suo ecosistema, la tesi di Aurelio parlava di come poter rappresentare su piccola scala, ad esempio in un’isola, le azioni necessarie per adattarsi al cambiamento climatico. Sarebbe stato utilissimo per far capire alla gente che impatto possono avere le nostre azioni. Teorizzava l’uso di un’isola “laboratorio”... Ponza era perfetta! Piccola il giusto e raggiungibile da Roma con un semplice aliscafo.

Le briciole che i due Pollicino hanno lasciato portano a Ponza! Ed è lì che sto andando adesso.

Però…

Appena salito a bordo dell’aliscafo elettrico, il mio umore è cambiato. Ho letto, in grande, sulla prua della nave “progetto Clorofilìa” e… cazzo! Che idiota! Come ho fatto a non pensarci prima? Tutto preso dalla mia rabbia da mastino del giornalismo, non ho fatto l’unico collegamento che andava fatto: i Testimoni di GEA e gli scienziati del “progetto Clorofilìa” sono le stesse persone!

Sono a pezzi!

E come se non bastasse, i due passeggeri a fianco a me non fanno altro che ripetere che proprio non riescono a capire dove abbiano preso i soldi per realizzare questo progetto, gli scienziati di Clorofilìa.

Eh, lo so io, lo so! Dai fondi raccolti dai Testimoni di GEA, ecco da dove. È ovvio!

E ora che stiamo arrivando a Ponza, sono… sono… sono come quella macchia rossa su quella falesia bianca, quella macchia rossa che sembra un cuore, lì, su quella parete in cima alla spiaggia. Un cuore che sanguina e va in pezzi. Così mi sento la testa, mentre arrivo a Ponza con questa nave elettrica.

Da una parte, vorrei denunciare questa sorta di truffa, questo imbroglio, questa religione finta, che Aurelio ed i suoi amici si sono inventati. Dall’altra… che spettacolo il “progetto Clorofilìa”!

La cosa più bella che sia mai stata fatta in Italia negli ultimi anni. Una rivoluzione! Tutto il mondo parla del “modello Ponza” e dei geni che hanno saputo trasformare quest’isola in un laboratorio a cielo aperto. Una miniatura del progetto di resilienza che bisognerebbe applicare in tutto il mondo. Il sogno di ogni ambientalista!

E che idiota che sono… Ci potevo arrivare! Ponza è anche il più grande tempio dedicato al culto di GEA che sia mai stato concepito.

Non posso sputtanare persone che stimo infinitamente.

E il mio giornalismo d’assalto? La mia super inchiesta? Muore così?

Sono veramente a pezzi… Come quel cuore rosso sulla pietra bianca che ti accoglie quando arrivi a Ponza.

Gnam?...

 

Aurelio e Michele, dopo aver lasciato il gruppo in gelateria, mentre continuano a consultare freneticamente lo smartphone, con andamento agitato cominciano a camminare verso la banchina dove approdano gli aliscafi.

– Aurè, vuoi che venga con te?

– No, Michè, ci penso io. È una cosa che voglio sistemare io. È un duello che voglio chiudere io.

– Pacificamente, vero Aurè?

—Ti voglio bene Michè, sei troppo forte… Certo, certo, pacificamente, certo.

– Comunque ‘sta APP di Ugo che elabora i movimenti delle persone che vuoi tenere sotto controllo è una figata! È grazie alla APP che abbiamo saputo che stava venendo sull’isola.

—Sì, beh, qualche dubbio etico ce l’ho su ’sta APP. Però, vabbè, adesso devo pensare ad altro. Vado.

– Ciao Aurè, stai attento. Ti aspettiamo a casa.

L’aliscafo attracca, silenzioso come al solito. La gente comincia a scendere. Aurelio si fa notare, muove le braccia e indica il Bar del Porto. Si incammina e si lascia seguire.

Chissà perché, tutta la rabbia e l’agonismo che ho provato durante tutti questi mesi, l’adrenalina, che già durante il viaggio era calata di molto, una volta sceso sull’isola, appena ho visto Aurelio che si sbracciava lì su quella banchina, sono svaniti!

L’ho seguito nel bar e, quando me lo sono trovato davanti, l’unica cosa che sono riuscito a chiedergli è stato perché si facesse chiamare così…

– Prima di tutto, Aurelio, toglimi una curiosità: perché “EL”?

– Avrai pensato al nome di Dio in ebraico, vero?

– Eh sì.

– Ah ah ah. In realtà la risposta è molto più “terra terra”! Quando sono arrivato, la signora Maria, da cui ho preso in affitto la casa qui a Ponza, mi chiamava sempre, urlando, “AureElio”, calcando in maniera così forte l’accento sulla E che del mio nome si sentiva una cosa tipo “A…EL…”. Sembrava che mi chiamasse “A’EL”, coso... Io ridevo sempre… Così, quando ho dovuto darmi, per così dire, un nome d’arte, ho deciso di chiamarmi “EL”. Faceva fico, misterioso, mistico, antico… divino! E a me faceva ridere. Era perfetto!

– Bella storia, sì. “A’EL”! Toglimi un’altra curiosità: come facevi a sapere che stavo arrivando, che ero proprio su questo aliscafo e che venivo qui proprio per te?

– Sono o non sono uno sciamano? Non è così che mi hai chiamato più volte? Ecco, ho fatto una magia! Ho letto le vibrazioni dell’atmosfera ed ho chiesto agli uccelli di monitorare il cielo per conto mio. Siamo interconnessi, no?

– Ah ah ah. Ok, capito, mi sono fatto sgamare in qualche modo! Vabbè, adesso che ti ho beccato, che si fa?

–Beh, Giorgio Calpurnia, giornalista d’assalto, come vedi, anche noi ti abbiamo beccato. Sapevamo che stavi arrivando perché ti abbiamo monitorato, abbiamo letto il tuo blog, tutte le tue suggestioni ed i tuoi commenti. Sapevamo che non ti saresti accontentato dell’intervista e ti abbiamo aspettato. Ora che sei qui, l’unica cosa che mi viene da dirti è: BENVENUTO IN GEA!

– Ah! Proprio così? Di getto? Tutto finito?

– No, Giorgio. Siamo ancora solo all’inizio. Cercavi una storia? Beh, l’hai trovata. Ora, se hai pazienza, ti racconteremo tutto. Sono tutti a casa, nel borghetto di Santa Maria, che ti aspettano. Abbiamo appena finito il nostro viaggio della memoria, abbiamo tutto fresco in mente. Siamo pronti a raccontare. Tu, hai voglia di scrivere?

– Sono pronto, sono curioso. Eccomi!


P.S.:

Li avevo cercati per demolirli, per svelare l’ennesima “web-truffa” e, invece, mi hanno convertito, se così si può dire... 

Mi hanno conquistato, con la loro storia, con il loro entusiasmo, con la passione e la costanza con cui sono riusciti a portare avanti questo progetto, il “progetto Clorofilìa”.

Non so ancora se questa storia dei Testimoni di GEA gliela perdonerò mai. In fondo, è una piccola frode. Però, ormai, faccio parte anche io del loro gruppo: NOI siamo Clorofilia!

Per questo ho deciso di raccontare questa storia e di raccontare questo viaggio, che la riassume. Perché per una volta, in un mondo tutto incentrato sull’individualismo e sul negazionismo, ha vinto la scienza, ha vinto il gruppo, ha vinto la Comunità, ha vinto l’umanità! Cosa sarebbero gli uomini se non vivessero in comunità?

Buona vita.

Giorgio


Nota dell’Autore

Nel capitolo 13 Francesca corre a “fare un salto” nella libreria “Il Brigantino”. Qualche mese dopo aver terminato la scrittura di questo capitolo, a luglio 2020, ho scoperto che la storica libreria della Famiglia Mazzella ha chiuso. Ed io che pensavo che potesse addirittura arrivare al 2040! Nel mio immaginario non può esistere Ponza senza la libreria “Il Brigantino”, fonte di scoperte e di nuovi punti di vista. La realtà non è così, il che rende questo mio punto di vista stranamente “fantascientifico”, in senso lato. E quindi ho deciso di lasciarla lì, la libreria, ché sopravviva fino al 2040, almeno nei miei sogni!


Marco Mastroleo, Latina 21/03/2021, primo giorno di Primavera

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Tutta la storia è disponibile su www.clorofilia.org

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RINGRAZIAMENTI FINALI

Questo racconto in 14 puntate ha avuto una gestazione lunghissima, è "in cantiere" da quasi tre anni!
Oggi, pubblicando quest'ultima puntata, mi sento come alla fine di una gara: stanco e soddisfatto ma anche pieno di entusiasmo.

In questa lunghissima avventura, tre persone ci sono state SEMPRE... con loro mi sono confrontato e sono cresciuto. E, anche grazie a loro, questo racconto è cresciuto ed ha preso forma.

Per cui
Grazie a GIOCONDA BARTOLOTTA, che ha curato questo testo come se fosse suo, i suoi consigli sono stati preziosi e la sua assistenza e presenza confortante.
Grazie a GIULIA SANTORO che, con le sue riflessioni e le sue critiche mi ha fatto stravolgere del tutto il testo almeno un paio di volte, ma sono contento di averlo fatto.
Grazie a CLAUDIO LUCCHI, molti degli argomenti contenuti in questo racconto li avevo condivisi negli anni con lui e mi ha sempre fatto piacere ricevere i suoi commenti ed i suoi spunti, man mano che venivano pubblicate le puntate. Se mettessi in fila tutti i suoi messaggi WhatsApp sul racconto, sono sicuro che ne verrebbe fuori un bellissimo libro!

GRAZIE A TE,
che hai avuto la pazienza di seguirmi fin qui, in questo lungo viaggio.

So di averti proposto un racconto fuori da tutti gli schemi, che affronta temi impegnativi e intricati e so di non essere uno scrittore professionista per cui, probabilmente, non li ho resi al meglio dal punto di vista narrativo.
spero, però, di essere riuscito a renderti partecipe del mio modo di immaginare il futuro.
spero, anche, di non essere stato troppo ottimista!
La storia ce lo racconterà! 

MarcoMastroleo, GiocondaBartolotta, Aurelio, Aliscafo, ponza

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Giorno 6: Città

Tutti adorano (o forse no) il flauto dolce! Chi non ha mai lanciato una qualche forma di imprecazione dopo dieci o quindici minuti passati ad ascoltare (passivamente e suo malgrado) un ragazzo delle scuole medie che studia musica torturando quel magnifico strumento? Fiulì, fiulà, prrrrr… prooooo, fuuuuu… una tortura! Ecco cos’è il flauto dolce, se non lo sai suonare!
Ebbene, la sveglia dell’ultimo giorno del viaggio dell’allegra combriccola di Clorofilìa inizia con una sorta di ululato suonato in onore del sole che sorge. Un ululato flautato…

– Michè! Smettila con quel coso!

– Te tiro na scarpa…

– Smetti di suonare o, giuro, non te la do più!

– Cos’è che non gli dai più, mamma?

– Ecco, Michè, hai svegliato pure Elettra…

– Alisea, amore mio… Quest’alba mi ha ispirato. Mi sono ricordato di come ci siamo conosciuti… e mi sono sentito ispirato. L’ho fatto per te! Era puro romanticismo.

– Papà, cos’è che mamma non ti dà più?

– Niente Elettra, niente.  Dormi un altro po’, ché è ancora presto. Dormi, a papà.

Così, grazie al trambusto generato dal flauto di Michele, un po’ ridendo, un po’ no, anche gli altri cominciano ad uscire dalle loro tende e si danno da fare. Chi inizia a smontare il campo, chi prepara la colazione, e chi, come i bambini,  gira tra le tende cercando di svegliare i pochi che, insensibili alla… musica, dormono ancora.

– Ma, ’st’arma de distruzione di massa, non l’avevano vietata?

– Eh Flavio, non c’è verso! Ogni volta gli chiedo: “L’hai lasciato a casa il flauto, vero?”. Lui mi dice sempre sì, e sempre se lo porta… non c’è speranza.

– Che poi, Aurè, ma tu l’hai mai capito perché cazzo a scuola devono usà  ’sto maledetto flauto dolce pe fa fà musica ai regazzini?! Non potrebbero usà cose meno aggressive, tipo l’ukulele, la diamonica… Quand’ero regazzino io se usava la diamonica…

– Flavio, pure ’na batteria è meno aggressiva di quel flauto, se lo suona Michele…

– E comunque, Aurè, con la celebrazione dell’alba abbiamo cominciato e con la celebrazione dell’alba lo finiamo,  ’sto viaggio. Solo che il primo giorno abbiamo iniziato la giornata con una ode al sole, oggi chiudiamo con una serenata poco rasserenante…

– Ah ah ah! Grazie Flavio, e grazie a tutti voi per aver apprezzato la mia musica.

– Grazie a te, maestro Michele, e ringrazia che Gino è ancora troppo addormentato per sfotterti, sennò...

I bambini ridono per la situazione, e chiamano Michele per andare a giocare con lui. Perché Michele è così, il più cresciuto dei ragazzini. Ed il flauto, quel suo modo di suonare il flauto, lo dimostra appieno!

– Zio, ci racconti meglio quella cosa che hai detto prima? È vero che tu e zia Alisea vi siete conosciuti grazie al flauto?

– Se volete ve lo racconto io!

– Eh… Vai, vai, Alisea, amore della mia vita. Vai, dacci dentro anche tu. Dai!

– Ah ah ah! Michele, lo sai che non potrei fare a meno di te e del tuo flauto. Anche perché l’isola è piccola e quando suoni, non c’è scampo per nessuno…

Comunque, è andata così: come vi raccontava Michele qualche giorno fa, sono arrivata qui a Ponza a settembre del 2019. Ero in vacanza, solo in vacanza. Non avevo nessun altro obiettivo, al contrario di tutti voi qui. Mi piace alzarmi molto presto, così una mattina sono scesa sulla spiaggetta di Ponza porto con l’idea di godermi l’alba, comprare la colazione per tutto il gruppetto degli amici con cui ero venuta qui e andare a casa a svegliarli. Nel 2019 il livello del mare, come vi abbiamo detto già un sacco di volte, era più basso di così, quindi la spiaggia era più ampia. Proprio in riva al mare c’era una sola persona. All'inizio non capivo, mi sembrava di sentire una specie di rumore, un… qualcosa…

 – Nu suon… Non ho parole! Altro che rumore: era musica!

– Sì, Michele mio, musica, ok. Dicevo, vedo ’sta figura, una specie di asceta, con i capelli lunghetti, la barba, con i piedi in ammollo nell’acqua, che cerca di suonare un flauto. Qualunque persona sana di mente sarebbe scappata via. Io, invece, gli sono andata incontro e l’ho salutato. Eravamo gli unici due mattinieri amanti del mare su quella spiaggia…. E così abbiamo iniziato a chiacchierare.

– Ma ci potete pensare? Appena ho visto ’sta venere che camminava nell’acqua, ho smesso di suonare e sono rimasto a bocca aperta. Meno male che ha parlato lei!

– Sì. Per fortuna, diciamo, ha smesso di suonare ed è rimasto a bocca aperta. Altrimenti sarei scappata… Invece l’ho trovato incredibilmente simpatico. E siamo andati a fare colazione insieme.

– E i tuoi amici? La colazione che dovevi portargli?

– Boh, in qualche modo avranno fatto… Io sono rimasta tutto il giorno co ‘sto personaggio qui. E non sono più andata via dall’isola.

– Mo me fat chiagnere. Ja! A vulimm fa’ ’sta colazione, o no?

– Grazie, Gino, per aver contribuito anche tu a celebrare degnamente quest’ultima alba del viaggio.

Dopo la tanto sospirata colazione, caricano tutto su Fùfilo e si mettono in viaggio.

Dal “Semaforo” di Monte La Guardia, il gruppo scende percorrendo il sentiero che arriva al porto, passando dalla zona degli Scotti. 

Al bivio de «U Spàlece» girano a sinistra e puntano verso Ponza porto. Da quel punto si vedono il piccolo promontorio che chiude la baia a nord-est,  e, in sequenza, il cimitero, proprio sul promontorio, l’isola di Zannone e, in lontananza, il golfo di Terracina con Sperlonga e Fondi sullo sfondo.

Quest’isola, ancora oggi, non è solo Clorofilìa, è tutta la sua storia. O meglio, Clorofilìa non sarebbe nata senza tutta la storia di Ponza e, se hai una buona guida che ti accompagna, una semplice camminata può trasformarsi in un viaggio nel tempo.

La prospettiva è troppo bella. Francesca non riesce a resistere e comincia a raccontare.

– Lo sapete che quel promontorio è il punto più anticamente abitato dell’isola? Proprio lassù sorgeva una villa romana e, in mare, dall’altra parte, si trova la Grotta di Pilato, uno dei punti più belli dell’isola. La conoscete?

– Io sì, zia.

– Beh, fino a qualche anno fa era visitabile; si poteva arrivare all’ingresso maggiore anche con una piccola barca. Ma oggi che il mare si è alzato, è molto più complicato raggiungerla ed entrare. E si vede anche meno bene, nonostante la posizione da cui la stiamo guardando. 

– Anche io la conosco, zia. Però non so cosa sia, esattamente.

– Sembra una semplice grotta, ma non è così. E oggi si può capire bene cos’è solo guardando le foto di qualche anno fa o facendo snorkeling, magari con una torcia. Sul mio smartphone ho qualcosa che ci può aiutare… Una foto ed un disegno, di quelli che si trovavano sulle guide turistiche fino a qualche anno fa.

– Zia, questo tuo telefono è come un’enciclopedia dell’isola. Hai tutte le cose antiche!

– Sì, mi piace troppo, non posso farne a meno. Adesso vi racconto la storia della peschiera. Più in là, se vi va, vi racconto la storia di Pisacane.

– Piscia che?

– Pi-sa-ca-ne, non quello che hai detto tu…

– Quello del corso, Livia. Anche a me ha sempre fatto ridere questo nome… Sono curioso di conoscere la storia di questo signore, chissà che c’entrano i cani!

– Niente Ettore, i cani non c’entrano. Dai, dopo ve lo racconto. Vi dicevo della frotta. Si tratta di una peschiera, in realtà. Cioè, sono tre vasche scavate nella roccia dai Romani per catturare ed allevare pesci.

– Anche alle grotte di Pilato ci siamo ispirati quando abbiamo progettato le serre con le vasche d’allevamento. Una versione moderna delle peschiere romane.

– Eh sì, grazie Flavio! Dicevo, una serie di canali univano le vasche con il mare aperto, con un sistema di saracinesche per regolare il flusso delle maree e permettere il ricambio dell’acqua.

Probabilmente la peschiera serviva a rifornire di pesce la villa romana sul promontorio. Era come avere un grande frigorifero: i pesci venivano allevati o pescati e poi conservati nelle vasche. Quando volevano mangiarli, andavano lì, li pescavano con un retino e li cucinavano…

– Mia nonna avrebbe detto: ’Sto pesce è frisco frisco, Gino. È bbuono assaje...”

– Grazie, Gino. Oltre a tua nonna però, un po' prima che lei nascesse, anche Plinio aveva raccontato della peschiera.

— Francé, sei sicura? Guarda che mia nonna è morta a 105 anni, mi sa che ’sto Plinio l’ha pure cunosciut…

–Gino! Plinio, detto “il Vecchio”, era un autore romano. È morto nel 79 dopo Cristo, durante la famosa eruzione del Vesuvio.

– Guarda che mia nonna, all’epoca, era ’na ragazzetta e sulla lava del Vesuvio ci ha surfato!
Sto pazziann… ja! Lo so chi era Plinio.

- Plinio ci racconta che qui dentro si svolgevano anche riti di buon auspicio, una sorta di riti magici che i sacerdoti pagani usavano per interpretare il futuro.
Dal comportamento dei pesci che nuotavano verso la superficie dell’acqua, al richiamo del sacerdote, gli ospiti potevano provare ad indovinare il loro futuro. Luigi Maria Dies, uno storico che ha studiato questi riti, per descriverli, scriveva: “Correvano le delicate murene a mangiare le leccornie loro offerte dai visitatori: erano pesciolini salati, frutte fresche schiacciate, briciole lucenti di pan fresco, bocconi preferiti e, dal modo come si accostavano oppure rifiutavano, con un colpo di coda, le ghiottonerie offerte, i relegati, specialmente, credevano di interpretare i futuri eventi della loro triste sorte”.
-Fico… Che superstiziosi, però…
- Si, i romani osservavano la natura e provavano sempre a interpretare i “segni” che poteva racchiudere. C’era anche un’altra credenza legata alla grotta. Probabilmente, come riporta Dies, nelle vasche venivano allevate le murene. I sacerdoti pensavano che le murene fossero pesci incrociati con i serpenti. Credevano che potessero venire fecondate una sola volta all’anno, nella notte in cui una certa stella illuminava con i suoi raggi la superficie del mare con una precisa inclinazione. Per far avvenire questa “fecondazione” tagliarono, sul tetto della grotta, una finestra che rispettasse l’allineamento astrale e facesse entrare i raggi di luce di quella stella. Considerando l’inclinazione della finestra e la posizione delle stelle nel cielo in epoca romana, la costellazione magica era probabilmente quella del Drago.
-Strafico… quando possiamo andare a fare snorkeling lì?
- Un giorno vi ci porto, ma il mare deve essere calmissimo.
- Sennò ci mandiamo un drone!
- Oh, Ettore, ma tu sei proprio fissato coi droni eh!
- Ah ah. Dai, continuiamo la discesa.

Si rimettono in viaggio e scendono verso gli Scotti, costeggiando il mare. 

– Papà, ora che sappiamo come si sono conosciuti zio Michele e zia Alisea, ci raccontate come vi siete conosciuti tu e mamma?

– Sì, Laura, va bene. Ma non è una storia divertente come quella di Michele! Io e Arianna ci conoscevamo già dai tempi del liceo. Ci siamo sempre frequentati, anche durante l’Università. Anche perché eravamo entrambi nel movimento studentesco. Organizzavamo feste, manifestazioni… casini vari, insomma. Ed eravamo anche iscritti entrambi al Partito Democratico. Un giorno, era il dieci aprile 2013, durante una festa del PD, Arianna, sempre frizzante e vivace, stava proiettando su un maxischermo un video girato durante un intervento presso una ludoteca. Nel video lei ballava e cantava con i bambini. Era al centro dell’attenzione, tutti gli occhi puntati su di lei. Non era una ballerina, ma era molto agile e si muoveva bene, sinuosa e delicata. Rideva, si divertiva, era raggiante e ogni tanto si aggiustava gli occhiali sul naso. Io ero in piedi accanto a lei, le tenevo la mano, la abbracciavo e la accarezzavo, per farla rilassare ed aiutarla a contenere l’emozione. Le facevo complimenti, sussurrandole parole nelle orecchie. Tenendola stretta.

Ad un certo punto, alle nostre spalle si presentano due ragazze, maglione e jeans, ci prendono da parte e cominciano ad attaccarci: “Certe scene sono indecenti”, “Non ci si scambia effusioni davanti a tutti”, “Non ci si tocca in pubblico” e così via.

Arianna, in tutta risposta, si incazza come una iena, le chiama “bigotte”, ricorda loro che non possono andare in giro a parlare di “apertura, uguaglianza e democrazia” se loro per prime non sono mai uscite dall’ottica ottusa del cattolicesimo di inizio secolo. Che la loro “democristianità” non è tollerabile se diventa “oscurantismo”, eccetera eccetera. Le avevano rotto gli argini, come è successo a Michele con la farmacista. Non riuscivo a trattenerla!

Qualche giorno dopo, il diciannove aprile 2013, questa divisione tra democristiani e socialisti, che avevamo vissuto sulla nostra pelle, e le questioni non risolte interne al Partito vennero a galla. Si doveva votare per il Presidente della Repubblica. Durante un’assemblea pre-voto interna al partito si era deciso di votare tutti per Renano Perdi. Invece, durante la votazione in Parlamento, ben centouno senatori  del PD non hanno votato per lui, tradendo gli accordi e facendo vedere al Paese la spaccatura profonda che c’era all’interno del partito. Noi siamo “scappati” appena in tempo, da quel momento in poi è cominciata l’ascesa di un certo Matteo Rocci. Un disastro per quel che rimaneva del PD…

– Papà, non ci stiamo capendo niente…

– Sì, scusate. Io e la mamma siamo usciti dalla sala, mano nella mano. Mentre uscivamo, Arianna mi ha tirato verso di lei e mi ha baciato, con lo schiocco, per farsi sentire da tutti. Non vi dico la reazione delle “bigotte”! Bocca aperta e braccia spalancate. Per un bacio! Da non credere! Mi ricordo ancora oggi cosa mi disse : “Sai che c’è? Adesso le effusioni ce le scambiamo davvero. Per ripicca? Sì, per ripicca… Scemo di un amico timido: baciami!”.

Da quel giorno, abbiamo cominciato a costruirci una visione tutta nostra del mondo che volevamo immaginare e per il quale volevamo spenderci.

Anche da qui è nata Clorofilìa, dal crollo delle ideologie politiche e dei sogni condivisi. Per noi era diventato necessario sceglierci un “piccolo sogno privato”, “un’utopia minimalista”. Per questo, dopo tanti anni, quando abbiamo capito qual era la nostra strada, ci siamo tuffati in questo progetto senza farci troppi problemi e senza troppi dubbi.

– Ma, allora vi siete innamorati per ripicca?

– No, no. Semplicemente avevamo bisogno di uno schiaffone che ci svegliasse e ci ricordasse chi eravamo. Lo schiaffone ce l’hanno dato quelle due “bigottine” lì. Eravamo al terzo anno di Università, da allora siamo sempre stati insieme, non ci siamo lasciati mai!

 

Nell’ascoltare quella storia, tutti i ragazzini e buona parte dei grandi si sono fermati, godendosi il racconto su quel tratto della strada da cui si intravedono il mare, da una parte, ed il borgo, dall’altra; a metà strada tra il mondo dei paesaggi, dei sogni e delle speranze, ed il mondo reale, quello degli uomini.

Plin. Il suono di una notifica su un cellulare riporta tutti con i piedi per terra, nel presente. Da un cellulare parte una vocina metallica, robotica: “Potenza 8,5, intensità 10. Congratulazioni, il tuo “super ruttone” ti porta in testa alla classifica. Hai appena realizzato un rutto da primo posto!”.

I bambini scoppiano a ridere e, tra le risate varie, uno di loro chiede:

– Ma la APP non era stata distrutta? Zio Ugo, non ce la racconti tutta…

– Scusate, è che, quando bevo acqua gassata e cammino, per me è come bere una birra! Non potevo perdermelo… Primo in classifica, comunque, eh? Ho dato il meglio di me sulla durata...
– Sì, la APP è stata disinstallata dal telefono di tutti, tranne, evidentemente da quello di Ugo. Grazie, Ugo. Stavo raccontando che ci serviva uno schiaffone per ricordarci chi siamo e tu, con un rutto, lo hai fatto alla grande. Ecco chi siamo! Un gruppo di fuori di testa!

Riprendono a camminare e arrivano, infine, nel borgo.  Quel piccolo borgo nel quale vivono e lavorano tutti i giorni. Girano verso destra percorrendo via Parata, scendono da via Roma e giungono alla chiesa dei Santi Silverio e Domitilla.

Il punto è che, quando questo gruppo di “fuori di testa” è arrivato sull’isola, tra il 2019 e il 2021, il borgo era completamente diverso da come appare adesso. Cioè, guardandolo dal porto sembra esattamente identico al passato ma, in realtà, nella sostanza, è profondamente diverso.

Già nel 2020 esistevano tecnologie e tecniche che permettevano di trasformare qualsiasi costruzione in una struttura confortevole ed ecosostenibile. Ma quanti usavano queste tecniche?

Questi piccoli e banali accorgimenti di edilizia o di ingegneria, tutti insieme, sono stati applicati qui per la prima volta. Con un progetto ambizioso e coerente. Chi veniva sull’isola, a vedere cosa stavano combinando, rimaneva stupito perché poteva vedere il futuro con i propri occhi. Poteva capire, senza troppo sforzo di fantasia, che un modo diverso di vivere ed abitare era possibile, bastava mettersi a… costruirlo. Clorofilìa ha dato al mondo una visione del futuro, un futuro sereno ed in equilibrio con l’ambiente, una visione che, ancora solo nel 2030, era inimmaginabile, visti i disastri ambientali che il mondo stava vivendo. A Ponza c’era il sole dopo la tempesta!

Quando il progetto Clorofilìa ha cominciato a prendere piede, con la piantumazione degli alberi, la riattivazione dell’acquedotto romano, l’arrivo dei robot e così via, insieme all’entusiasmo sono arrivati soldi. Un sacco di gente ha voluto investire in questa visione del mondo così diversa. Alcuni per gioco, altri per “fede”, fatto sta che l’isola ha cominciato a ricevere finanziamenti per portare avanti il sogno.

Per prima cosa l’energia elettrica. Sull’isola costava davvero troppo e per mettere a pieno regime autobus e barche elettriche serviva energia economica e pulita. Hanno cominciato con il finanziare impianti domestici: fotovoltaico, solare termico per l’acqua calda e microeolico.

Il problema di queste tecnologie è che sono “brutte” da vedere.

Cioè,  Ponza è bellissima, perché la linea delle case di età borbonica e il prospetto del borgo visto dal mare sono rimasti identici a come erano nel 1800. Quindi l’uso di queste tecnologie non doveva cozzare con la bellezza del borgo. Così, dove possibile, i pannelli sono stati nascosti dietro le volte delle case, nella faccia non visibile da terra. Gli isolani, poi, hanno “inventato” un modo ingegnosissimo per nascondere i pannelli, dove i tetti delle case erano piatti o troppo in vista. Sui tetti hanno montato staccionate di legno o di ferro e ci hanno fatto crescere piante rampicanti o piccole siepi. I tetti di Ponza sono diventati verdi. Cioè, bianchi e verdi. Il profilo del borgo non è più lo stesso, certo, ma è più allegro. Si è aperta una sorta di gara a chi allestiva il tetto più bello e, nel giro di soli due anni, quasi tutti i tetti di Ponza si sono riempiti di piante e pannelli.

Nei punti più alti, più esposti e dove c’era spazio, qualcuno ha montato anche delle micro pale eoliche ad asse verticale. Sono delle piccole colonnine, alte poco più di un metro e mezzo, bianche, che si mimetizzano con i comignoli delle case.

Così, sfruttando i tetti, si è arrivati  a produrre la metà dell’energia elettrica necessaria a Ponza. Un altro po’ di energia era prodotta con le pale eoliche classiche, quelle ad asse orizzontale, montate sui crinali più ventosi dell’isola. Eppure, non bastava. Per mandare avanti i traghetti elettrici, le barche, i battelli, gli autobus e tutto il resto, l’energia prodotta dai tetti non era sufficiente. Allora la compagnia nazionale dell’energia elettrica ha usato il mare intorno all’isola per un grande esperimento: convertire in energia elettrica il moto ondoso. 

Presto, al largo di Ponza, verso sud, nel tratto di mare che la separa da Ventotene, è nata una nuova isola. Non vulcanica come le altre, ma fatta di acciaio e gomma. Una piattaforma galleggiante ancorata al fondo del mare grazie a robuste corde d’acciaio. La piattaforma si chiama “Inertial Sea Wave Energy Converter (ISWEC)” e trasforma l’energia prodotta dalle onde — la più grande fonte rinnovabile inutilizzata al mondo – in energia elettrica, adattandosi anche alle differenti condizioni del mare.  In pratica produce quasi sempre, ma produce al massimo quando il mare è mosso.

Il limite di tutte queste tecnologie, però, è dato dal fatto che producono molto in alcuni momenti (con il vento, il sole, il mare mosso), e poco o niente in altri. Quindi, gli ingegneri di Clorofilìa hanno dovuto inventare un sistema per rendere disponibile l’energia anche quando non può essere prodotta, ovvero di notte, quando non c’è vento e quando il mare è calmo, insomma… Anche questa è stata un rivoluzione, ma, come quasi tutto quello raccontato fino ad ora, non ha richiesto l’invenzione di qualcosa di nuovo, solo l’utilizzo di tecnologie già esistenti!
Hanno, dunque, installato in diversi punti dell’isola, soprattutto nei centri abitati, una serie di accumulatori ad idrogeno, basati sulla tecnologia delle celle a combustibile, come quelle usate per le auto ad idrogeno. 

Cioè, raccontandolo meglio: l’energia elettrica prodotta dai vari sistemi viene utilizzata per produrre idrogeno tramite elettrolisi. L’idrogeno viene accumulato in grandi bombole stabilizzate e poi usato per produrre, di nuovo, energia elettrica, facendolo reagire con l’ossigeno. L’energia prodotta viene poi redistribuita per i vari usi, sfruttando la rete elettrica esistente. Un processo ad emissioni zero: l’unico scarto è l’acqua! 

Tutto fantastico, se non fosse che l’idrogeno è un gas molto pericoloso da maneggiare ed intorno a questo progetto si sono concentrate per molto tempo le ansie degli isolani e di tutti gli altri. Ora che funziona, da tanti anni e senza problemi, quasi non se ne ricordano più. Inoltre, molti abitanti dell’isola sono stati coinvolti nella gestione e manutenzione di queste piccole centrali, creando anche posti di lavoro.

Passiamo all’acqua, ora. Quella che arriva dall'acquedotto viene mandata nelle piccole cisterne di cui ogni casa di Ponza dispone. Le acque “usate”, poi, grazie a delle piccole stazioni di filtraggio fisico e microbiologico, vengono depurate e rimandate nelle case, per essere utilizzate per gli scarichi. Poi, ancora una volta, l’acqua viene depurata e filtrata ed usata in agricoltura. Ogni linea ha i tubi di un colore specifico: le acque pure in blu, le acque filtrate la prima volta in viola, le acque per l’agricoltura in verde. Come avviene in Israele, dove neanche una goccia della poca acqua che hanno viene sprecata!

Ed anche intorno a questo sistema, sono nati nuovi posti di lavoro.

Passeggiando in mezzo alle case della “vecchia-nuova” Ponza, il gruppetto, seguito dal fedele Fùfilo, raggiunge la piazzetta della Chiesa, dalla quale si può godere la vista di tutto il porto.

– Zia Francesca, ce la racconti la storia che ci hai promesso?

— Sì certo. Sedetevi qui, sui gradini della chiesa di Santa Domitilla. Sapete chi era santa Domitilla?

– No.

– Flavia Domitilla era figlia dell’Imperatore Vespasiano e sorella degli imperatori Tito e Domiziano. Era stata confinata qui sull’isola, punita per essersi professata cristiana. Dopo qualche anno tornò a terra, a Terracina, dove morì. Molti secoli più tardi fu ricordata come una delle prime martiri cristiane. Per questo è celebrata in una chiesa qui a Ponza.

– Cioè, i Romani facevano così? Se uno la pensava in modo diverso da loro, lo mandavano in esilio su qualche isola lontana?

– Beh, non solo i Romani! Queste isole sono state usate come luogo di confino da quasi tutti. I Borbone avevano costruito un “bagno penale” qui sull’isola, ovvero una specie di grande dormitorio dove vivevano i “coatti”.

– Ah sì, quelli di ieri…

– Sì, ed anche in epoca fascista, per un certo periodo, furono mandate persone qui, in confino.

– Pure Mussolini, quando fu deposto, fu portato qui a Ponza in esilio, per qualche giorno. Abitò in una casa del borghetto di Santa Maria, dove abitiamo noi. Quasi un contrappasso!

– Sì, Aurelio, vero. I confinati fascisti vennero poi trasferiti a Ventotene, dove erano stati costruiti dei grandi capannoni. Il bagno penale di Ponza non era più sufficiente, gli oppositori del regime erano… un po’ troppi! Insomma, queste isole hanno sempre ospitato ribelli, pensatori e malviventi in “soggiorno forzato”...

– Noi, zia, a quale delle tre categorie apparteniamo?

– Ah ah ah, Ettore… Non l’avevo mai vista in questo modo, però sì, è vero, un po’ in esilio coatto siamo anche noi! Comunque, la storia che volevo raccontarvi ha a che fare anche con i coatti e si è svolta proprio qui, in questa zona dell’isola. Quando la leggo, mi fa sorridere. Un po’ per l’italiano in cui è scritta, un po’ per l’atmosfera che suscita. Però, vivere quelle situazioni deve essere stato tragico! Soprattutto la fine. Non è stata delle migliori. Cioè, poteva finire meglio, ecco!

– Dai zia, spara!

– Sì, ecco, vi leggo un altro passaggio del libro del Tricoli. Comincia così: 

“Il partito benanche liberale Italico ideò un movimento nel reame napolitano, ed a riuscirvi sopra il vapore di Sardegna “il Cagliari” furono imbarcati 18 casse di armi come mercanzie, 25 emigrati corsi, romagnoli, coi regnicoli Carlo Pisacane come capo, Giovanni Nicotera e Giovanni Falcone quali sottocapi, ed invece di far rotta di spedizione per Tunisi, approdavasi in Ponza il dì 27 giugno 1857, verso le 5 pomeridiane, pretestando (cioè usando come pretesto) danni alla macchina…”.

In pratica, il partito liberale, capitanato da Carlo Pisacane e da Giovanni Nicotera, provò a portare la rivoluzione nel regno di Napoli. Partirono a bordo del “Cagliari”, un vaporetto, ed arrivarono a Ponza fingendo di avere un guasto…

“Vi accorreva il capitano del porto Montano Magliozzi, il pilota pratico, e l'uffiziale di piazza, che furono osteggiati (presi in ostaggio), la deputazione sanitaria era divertita (cioè fuorviata), mentre due lance inosservate per la esterna scogliera sbarcavano 18 dei cennati individui armati di due botti (cioè fucili a due colpi), con giubba e berretta rossi, immettendosi pel vicolo La Caletta, preceduti dallo stendardo ancor rosso, gridando ‘Viva l'Italia e la Repubblica’, tirando fucilate…”

Insomma… sorpresa! Dalla nave scendono diciotto tizi armati che cominciano a sparare fucilate per aria, gridando “Viva l’Italia”... Da pazzi…

“Attoniti i custodenti e gli abitanti nel vedere quei furibondi impadronirsi della scorridoia (barca) di marina, scambiarsi i colpi con taluni soldati, uccidendo il tenente di servizio, ed occupata parimenti la Gran Guardia, la batteria-molo e il palazzo del comando, ove si erano riuniti gli uffiziali, e segnata la resa tutti furono prigionieri sul Vapore. Ecco in breve i terrori della rivoluzione scoppiarono, armandosi da circa due mila dei servi di pena fra ex militi, rilegati, e presidiarii con le armi ricavate dalla truppa, e disbarcate dal legno in due botti (fucili a due canne), tromboni (fucili con una canna molto larga), pistole e stili (spade).

Fattasi imponente la massa, rabbrividivano i naturali (ovvero gli abitanti di Ponza) perché tutto cedeva, aperto il bagno (il bagno penale), e le altre prigioni della rilegazione, e circondariali, un torrente di forsennati coi gridi sediziosi gridava per lo abitato e pei casali, crescendo in audacia e in eccessi, allorché il fuoco consumava le officine della comandanzìa, del giudicato, del Municipio e de’ posti degli urbani, di polizia e di gendarmeria: indi col proclamare la Repubblica quei ribaldi sbrigliati, mettevano a sacco l'intera isola, non esclusi commestibili e gli arnesi ancorché ìnfimi…”.

Cioè, in pochissimo tempo mettono sottosopra l’isola, liberano i coatti e sequestrano i militari portandoli sulla nave, in un lampo! E cominciano ad appiccare incendi qua e là per spargere terrore. E saccheggiano tutto quello che c’è da mangiare, benché “infimo”, come dice il Tricoli.

E qui arriva la parte "grottesca" di tutto questo teatrino. I rivoltosi che fanno? Proclamano la Repubblica e… fanno suonare la banda! Cioè, erano proprio altri tempi! La banda! Che spettacolo! E poi le parole, “la obbligata illuminazione”, per dire l’illuminazione pubblica… Ve lo leggo. Fate attenzione!

“Mentre essi festeggiavano all'imbrunire della sera, bensì con la obbligata illuminazione, e banda musicale, aumentavanzi le angosce de’ sbalorditi ponzesi rannicchiati per le remote caverne coi funzionari, ed eternavasi i momenti del lottare benanche fra i disagi, ed il certo sterminio, dopo tanto bisbigliare e ladrocinare, senza speranza di soccorso o freno a quella deplorabile scena. Verso la mezzanotte salpava intanto al tiro di cannone il piroscafo con ancora 323 di essi servi di pena de’ più audaci dirigendosi a Sapri presso le coste di Salerno”.

Ora, c’è un altro passaggio,  in quanto vi ho appena letto, che mi piace molto. Il Tricoli dice che gli abitanti erano “sbalorditi, rannicchiati per le remote caverne…”. Caverne? Cioè? Cioè le bellissime case-grotta a basso impatto ambientale, con circolazione forzata dell’aria, ristrutturate in bioedilizia… Insomma, le meraviglie in cui abitiamo adesso, il Tricoli le chiama “caverne”. Ed i poveri ponzesi erano lì rannicchiati e tremanti. Che scena!

– Certo, Francesca. Pensate, bambini, che le case-grotta, ancora fino a non molti anni fa, erano davvero umide e fredde come caverne. È stata un’altra delle mega-imprese di Clorofilìa quella di rendere le case ospitali e salubri come sono adesso. Abbiamo dovuto smontare tutte le piastrelle e gli intonaci impermeabili che avevano usato per decine di anni e sostituirli con malte naturali e traspiranti per far sì che il tufo potesse “respirare”. E abbiamo dovuto scavare cunicoli e camini per far fuoriuscire l’umidità in eccesso. E abbiamo montato delle ventole domotiche per far circolare l’aria tra le camere, distribuendo aria fredda ed aria calda grazie a particolari sensori che…

– Arià, avemo capito. Fermate, daje!

— Sì, Flavio, hai ragione, mi sono lasciata andare… Francesca, finisci tu!

– Arianna, giuro, non ripeterò la parola “caverne” per un bel po’! Insomma, Pisacane ed i suoi, dopo aver messo su tutto questo trambusto nella piccola Ponza, con tanto di banda e festeggiamenti vari, salpa diretto a Sapri, vicino Salerno, per continuare la rivoluzione nel regno di Napoli.

E qui scatta l’imprevisto: mentre la nave dei ribelli repubblicani è in viaggio verso sud, dal porto di Ponza, nascosto dal buio della notte, parte un gozzo (una barca da pesca) con otto rematori diretto a Gaeta. La guarnigione viene informata della rivoluzione e, in poche ore, i Borbone mettono in moto il meccanismo che porta Carlo Pisacane a morire, con pochi altri dei non molti che lo avevano seguito, sulle coste di Sapri. Povero Pisacane! L’idea era buona: venire qui a Ponza, formare un esercito con tutti i reclusi del bagno penale ed attaccare i Borbone con un mini-esercito. Ma i reclusi non l’hanno seguito! Codardi? Fedeli ai Borbone? Egoisti? Chissà! I tempi non erano ancora maturi. Pisacane è stato un eroe solitario, morto da traditore, che ha guidato una rivolta in nome dell’Italia unita.

– Dai, che peccato, dopo tutto il trambusto che avevano fatto qui!

– Eh già. Però poi l’unità d’Italia s’è fatta ed è per questo che oggi la piazza ed il corso principale di Ponza sono intitolati a lui.

– Mangiamo qualcosa, dai. Nella pizzeria qui sotto, magari, vicino al faro. E poi rientriamo a casa.

– Andate, io vi raggiungo subito. Vado un attimo a salutare Silverio.

– Silverio chi, papà? Qui a Ponza si chiamano tutti Silverio!

– Silverio Mazzella, della libreria “Il Brigantino”. Francesca, come dice Gino, è una azionista di maggioranza di quella libreria, ha speso un sacco di soldi lì… In pratica è un po’ anche sua! E poi lei e Silverio sono diventati molto amici. Adesso che è anziano, va a salutarlo spesso. È lì che ha imparato tutte queste storie sull’Isola.

– Fico! Quel posto piace tantissimo anche a me. Vado, ho famissima. Vado a mangiare la pizza da Gennaro. Ciaoooo.

In pochi passi abbiamo percorso un pezzo di storia: più volte si era provato a far partire una rivoluzione da Ponza. Quella dell’Italia unita di Pisacane fallì. Ci riuscirono altri: nel secondo dopoguerra, dalle idee nate dai confinati sulle isole pontine a Ventotene cominciò la storia dell’Europa unita. Un’altra storia, dell’altra isola dell’arcipelago.

Nel 2020, invece, Ponza non è rimasta a guardare. Da qui è partita una rivoluzione che ha unito l’Italia e l’Europa al resto del mondo: una visione, un sogno. Da dieci anni a questa parte, l’isola è meta di architetti, ingegneri, biologi e naturalisti che vengono a studiare “il sistema Ponza”, per provare ad applicarlo nei loro Paesi. Ché in qualche modo, in Italia, la storia deve passare dalle isole, perché è sul mare che nascono le idee migliori!

Dopo la pizza d’ordinanza, con vista mare, il gruppetto si rimette in cammino.

– Mi sono davvero divertito! Attraversare Ponza a piedi è stato veramente incredibile. Non avevo mai visto l’isola da questa prospettiva. Prima di fare questi ultimi passi, che ci condurranno a casa, volevo ringraziare tutti, per aver raccontato un pezzo della nostra storia. Sono commosso!

– Grazie a te, papà, per la bella idea. Io, parlo per me, penso di essere un po’ diverso da come ero anche solo cinque giorni fa.

– Io, invece, dico che, mo, ce vo nu bell gelàt. Per festeggiare la fine di questa camminata, intendo...

– E grazie a Gino, che riesce a mandare sempre tutto in caciara!

Si muovono verso la Gelateria del Corso. Attraversano piazza Pisacane, passano davanti al Municipio e camminano lungo il corso.

– Aurelio e Michele, c’è una cosa che dovete vedere.

– Cosa,Ugo?

-Guardate qua…

– Minchia! Andiamo al molo. Grazie, Ugo. Andate a casa ed aspettateci lì. Mi sa che stasera lo chiudiamo col botto ’sto viaggio...


Marco Mastroleo, Latina 14/03/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 14 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

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Approfondimenti:

- A proposito delle grotte di Pilato: https://www.ponzaracconta.it/2011/07/06/biografia-di-un-paese-7/
La foto delle grotte di Pilato è tratta da iPonza: https://www.iponza.it/luoghi/lt/cosa-fare-a-ponza-e-luoghi-di-interesse/le-grotte-di-pilato/

- Il Sistema ISWEC per sfruttare il moto ondoso esiste davvero! Per saperne di più: https://www.eni.com/it-IT/attivita/onde-mare-energia.html

- Sulle celle a combustibile ad Idrogeno, invece, consiglio il sito dell'ENEA: https://energia.enea.it/celle-a-combustibile-e-idrogeno/

Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

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Giorno 5: Tecnologia

La giornata precedente è stata quasi malinconica. Parlare di come è nata la loro comunità ed il loro sogno ha coinvolto tutti, nel corpo e nello spirito. Aurelio e Michele si ritrovano fuori dalle tende già alle prime luci del mattino, come se si fossero messi d’accordo. Quante volte si sono ritrovati a guardare nascere il giorno per poi cominciare il lavoro! Preparano il caffè per tutti gli adulti e li svegliano, per assistere insieme al sorgere del sole.

– Che bella è l’alba a Ponza! Qui a Frontone, poi, è veramente magnifica.

– La falesia brilla alla luce del mattino. È splendida. Sembra veramente scolpita da un gigante folle!

– Se svegliamo presto i bambini possiamo fare un po’ di strada al fresco! Su questo versante il sole batte forte la mattina. “Coce!”, come dicono qui…

Così Arianna sveglia i bambini e mette fretta al gruppo, ripetendo continuamente che non possono fare tardi perché Antonio, detto "’O pulptàr", li aspetta per la colazione, sta già preparando tutto. Oggi si muovono in groppa ai robot da lavoro, i parenti di Fùfilo. Sono già arrivati e non bisogna far tardi, perché i robot devono tornare alle loro occupazioni. Arianna e Gino ne hanno programmati dieci per raggiungerli lì, a Frontone. Queste bestioline meccaniche hanno una sorta di sella, usata normalmente per caricare merci o strumenti da lavoro e che, all'occorrenza, può essere usata come seduta. 

Salgono e cominciano la salita. La “sella” è molto ampia e ci si sta comodamente in due o tre per ogni robot. È come stare in groppa ad un cavallo, i bambini ridono ad ogni saltello. Devono raggiungere Punta Capo bianco, dall’altra parte dell’Isola.

Circa trenta minuti di sobbalzi ed eccoli arrivati. 

Proprio dove un tempo era il parcheggio Capobianco, ora sorge un bar, il bar di Antonio "’O pulptàr". È lì che fanno colazione, con vista panoramica sulla bellissima falesia che dà il nome al luogo. 

Come in ogni bar e ristorante dell'isola, anche qui, sulla porta, è esposto il menù con l'elenco ingredienti. È un elenco speciale, perché riporta luogo di origine del cibo e carbon footprint del suo ciclo produttivo. Anche questo è Clorofilìa. Questa del progetto “Menù intelligente” è stata un’idea di Flavio: ne ha curato ogni dettaglio ed ha messo in piedi la supersquadra che ha elaborato le certificazioni, i metodi, le scale di giudizio e tutto quello che serviva per realizzarlo. 

Ma la vera rivoluzione l'ha portata Ugo! Ugo è un nickname, non è il suo vero nome. Forse solo Flavio sa come si chiama davvero "Ugo". Fa parte della sua natura: è un informatico di altissimo livello, professionale come pochi ma, in maniera del tutto equivalente, un gran cazzarone, alleato di Gino in molti scherzi e goliardate. 

 Ugo ha permesso che tutti i cibi che arrivano sull'isola siano tracciati e codificati, con tecnologia cloud. Così ogni punto vendita che li espone può mostrarne, grazie ad una serie di schermi, la provenienza ed il certificato, in tempo reale e senza sforzo. Lo sforzo di questa enorme mega-elaborazione dati la fa il software inventato da Ugo. Lo sforzo di elaborare e presentare tutte queste informazioni, lo fa il server di Clorofilìa. I commercianti devono solo occuparsi di accendere lo schermo e di tracciare tutte le merci in ingresso. Ogni cibo ha un codice di provenienza, espresso in un QR code che può essere letto da qualsiasi smartphone. Ogni volta che il cibo fa un passaggio viene tracciato, ed il suo impatto ambientale (questo è il carbon footprint) e la sua posizione vengono ricalcolati.

Inoltre, una tabella specifica racconta quali sono i cibi di stagione in quel periodo, le loro caratteristiche nutritive ed i modi per prepararli. 

– Quasi tutto il cibo servito nel bar proviene da Ponza. Quando siamo arrivati, era esattamente il contrario. Qui sull'isola non si produceva quasi più niente. 

– Ma, zio Flavio, che se ne facevano di tutte le serre dell'isola, se non le usavano per produrre cibo? 

– Le serre, sull'isola, le abbiamo portate noi, Mattia. Sono serre speciali, hi-tech, progettate da me, Arianna, Gino ed Ugo. In particolare da Gino ed Ugo.

– Zio Gino e zio Ugo, ce lo raccontate?

– Ué, guagliunciè, magnt 'a pastarell’ e famm’la magnà in santa pace… 

– Gino, ma dai, cosa ti costa? Finisci la colazione e poi ci racconti, dai… 

– Dai, zio! Tieni contento Mattia!

– Chiara e Licia. Siete due infami, lo sapete che ho un debole per voi e non posso dirvi di no. Chiara, sei la mia stella, la mia geologa isolana preferita...

– Anche l'unica… 

– Eh, ma bell'accussì ce ne stanno poche... E tu, Licia… 

– Sono la tua “nipote” preferita, lo so… 

– Ecco! Dopo la sfogliatella ed il cappuccino mi dedico a voi, dai. 

Gino, diminutivo di Luigi Capoccia, può essere riassunto in questo passaggio. Gino è tutto qui! Burbero e burlone solo in apparenza. Generoso e dinamico nella realtà. Gino è stato ed è, a tutti gli effetti, una delle locomotrici del progetto, nonché lo “zione” di tutti i bambini.

– Flavio tiene na capa tanta, ma poi, quando si tratta di pensare a cose pratiche, si perde… E quindi io e Arianna ci siamo messi sotto e gli abbiamo progettato, in pochi mesi, un sistema che, fino al 2020, era solo teorico. Abbiamo costruito le serre autosostenibili e le abbiamo chiamate “ZAPPÀM”, che è l'acronimo di Zona ad Alta Produzione di Puzza di Asparago Marcio… 

– Gino, sei sempre il solito idiota! Questa è come la storia di Spazzolo! Le serre si chiamano High Efficiency Recycling Greenhouse, o HERG. 

– Arià, quello è un nome buono per le pubblicazioni scientifiche, vuò mettere HERG cu ZAPPÀM?

– ZAPPÀM è troppo bello, non si batte! Zio, sei un genio! 

– Grazie marmocchié, vado avanti. Al di fuori della serra c’è una vasca, una mini-piscina, che si alimenta con l'acqua piovana e con le falde. Nella vasca c’è un allevamento di pesci. L'acqua della vasca è usata per innaffiare le piante nella serra, perché, grazie ai liquami dei pesci, è già ricca di azoto e fosforo e non c'è bisogno di altri concimi. 

– Sì, Gino. Lo so che mi chiamo Ugo e nei confronti degli Ugo c'è sempre un certo pregiudizio. Pregiudizio che tende a farti dimenticare il ruolo fondamentale che questo Ugo ha avuto in tutta la faccenda. Ma ricordati che a gestire la baracca, lì, c'è uno dei miei computer, che, con vari sensori, controlla in continuo i livelli di azoto e fosforo ed accende e spegne in automatico i filtri, se serve, in base ai valori impostati da Flavio. E funziona quasi sempre bene, perché lo ha fatto Ugo...

– E certo Ugo. ’O dico sempre io: “Ma come fa uno che si chiama Ugo ad andare oltre le tre lettere del nome suo”. Eppure, come dici tu, Ugotto mio, hai fatto un buon lavoro. Mica te volevo negà ’a fatica… 

– Fottiti… Ah ah ah!

– Pozz continuà? Allora, le piante si trovano dentro le serre. Pomodori, pesche, zucchine, melanzane… Di tutto. Stanno su un letto di lana di qualcosa… Com'è che si chiama, Flà? 

– Lana di roccia. Ma il “letto” può essere anche in fibra di cocco, torba… Quello che serve, in base alla coltura. Le piante sono disposte su due o tre piani. Le piante da frutto sono sui piani alti, o in un angolo della serra se questa è bassa. Negli strati più bassi alleviamo ortaggi e insalate e, se la luce è poca, le illuminiamo con lampade LED. Livelli e quantità di concimazione e irrigazione vengono decisi da un software, che regola, in maniera robotizzata, le distribuzioni. 

– E anche quello l'ha progettato Ugo, che sarei io! Il software per autoregolarsi usa anche una serie di sensori installati nei substrati e sulle piante. 

– Insomma, tutto robotizzato… Usiamo meno della metà dei concimi, nessun trattamento chimico e l'acqua viene quasi tutta riciclata. Produciamo frutta e verdura tutto l'anno, usando pochissime risorse. Di serre così, sull'isola, ce ne sono quasi trenta. Alcune sono piccole qualche metro quadrato, altre sono alte fino a sette metri. E sono sempre nei pressi delle valli o nelle piccole pianure, dove è più facile recuperare l'acqua e gestire le vasche. E poi, nelle valli, risentono meno del vento battente. 

– Fico! Zio Flavio, una cosa non l'ho capita... Perché le serre puzzano? 

– In realtà, Mattia, a puzzare non sono le serre, ma le compostiere che abbiamo all'esterno. Le usiamo per produrre il concime. 

– Le compostiere sono un'idea di Arianna. So’ scatolotti de ferro, fetenti assaie, all'interno dei quali tutti gli scarti delle colture vengono messi a fermentare e maturare per tre o quattro mesi. Quanno ’a cosa fetente, ’o compòst, è pronto, lo usiamo come concime. 

– Una serie di sonde di temperatura e umidità regolano la gestione della massa, grazie ad un software…

– Che hai fatto tu, zio Ugo?

– Ormai l'abbiamo capita la filastrocca! Povero zio Ugo…

– Vi voglio bene, piccole canaglie! Facciamo così, mentre camminiamo vi racconto una storia veramente interessante. Altro che ’sto progetto delle serre. Ne ho scritti di software fichi, io!

Così, seduti su una terrazza con vista su Capo Bianco, godendosi cornetti e frutta di stagione, il gruppo inizia la preparazione per la scarpinata quotidiana. I robot, zampettando come capre, tornano al loro lavoro quotidiano. Con i viaggiatori rimane solo il solito, fedele Fùfilo. Cominciano la salita verso Monte La Guardia.

La strada verso la cima è costellata di terrazze sulle quali si coltivano ulivi e vigne. Agricoltura eroica, la chiamavano nei primi anni Duemila e, in questo caso, anche artistica, perché, ispirandosi al primo esempio del genere, Masseria La Mastuola di Massafra, le terrazze che ospitano le vigne sono state realizzate seguendo il profilo della collina e delle valli. A Ponza, questi terrazzamenti li chiamano "le catene". Con l'inizio del progetto Clorofilìa le catene sono state risistemate ed adattate, anche grazie all'aiuto dei robot da lavoro. Lo spettacolo che offre questo “disegno” è incantevole perché, come un vestito aderente, accentua le curve del monte ed offre colori diversi in ogni stagione. Dai giochi dei verdi in primavera ed estate si passa agli arancioni e ai rossi in autunno e inverno. E, ovviamente, il vino che si ricava da vigneti così è superbo, perché la circolazione dei venti e dell’umidità sono giusti ed equilibrati rispetto alle esigenze delle vigne.

Salendo tra le terrazze, oltre a godere della bellezza delle vigne e degli ulivi, si gode della vista dell'intera isola. Uno spettacolo unico, emozionante, che fa apprezzare appieno la bellezza di questa virgola di terra adagiata sul Mar Tirreno. 

Anche se la vista è incantevole e l'umore è alto, la salita della fatica si fa sentire. Si fermano all’ombra di un gruppo di ulivi, e Arianna ne approfitta per raccontare quel paesaggio dal suo punto di vista. 

– So che, per voi che siete nati qui, vivere così è normale. Ma per noi, che venivamo da Roma o da altre città d’Italia, vivere in un posto che ha una sola strada per andare ovunque era davvero impensabile. Questo serpente che stiamo “inseguendo” da quando siamo partiti è l’unica via che permette di andare in ogni posto dell’isola. Pensate come doveva essere quando siamo arrivati qui, venti anni fa: autobus a benzina o diesel, macchine e moto rumorosissime, mezzi di tutti i tipi che ti sfrecciavano davanti ogni volta che mettevi un piede sulla strada e, soprattutto, pensate che puzza che c’era! Puzza di benzina e di diesel, che ti entrava nelle narici e non ti lasciava.

Non potevo sopportare questa situazione, così mi sono data da fare per trovare una soluzione. Ed abbiamo inventato il sistema che oggi conoscete tutti.

– Zio Gino, hai dato un nome strano anche a questa invenzione?

– No, no, non mi sarei mai permesso. L’ho sempre e solo chiamata “la circumponziana”, il nome che gli ha dato tua madre, Ettore. Era già un capolavoro accussì!

– Ecco, almeno questo! Quello della circumponziana è stato il progetto più impegnativo di tutti, perché un conto era portare novità come Spazzolo, un conto era portare gli alberi e l'acqua con l’acquedotto, un altro bel conto era convincere tutti a rinunciare quasi completamente alle auto private per usare un sistema pubblico e condiviso. Però i benefici sono stati talmente tanti che ormai, trascorsi quasi dodici anni da quando abbiamo finito i lavori, i cittadini di Ponza non possono più fare a meno della circumponziana. E ci credo! Abbiamo creato una metropolitana su gomma, elettrica, che attraversa l’isola ogni dieci minuti ed è collegata ad una miriade di macchinette elettriche, silenziose ed agili, che fanno da “spola” tra la metropolitana e le zone lontane dalle fermate. Ormai, per attraversare l’isola o per muoversi a Ponza porto, non serve più prendere l’auto privata, tutt’al più si ha bisogno di un piccolo robot da lavoro o di uno scooter per arrivare alla fermata più vicina! Puntuale, pulita, silenziosa e bella, la circumponziana! E pensare che all'inizio tutti volevano andare in giro solo con la propria auto! Che proteste che abbiamo dovuto sopportare! È stata dura, nei primi anni…

Come il resto del progetto, anche questa “rivoluzione” raccontata da Arianna non aveva nulla di fantascientifico o di incredibile. Queste tecnologie esistevano già tutte negli anni Duemila. Eppure, spesso rimanevano confinate nel limbo del “non è applicabile” o del “si può fare, ma non qui…”.

La svolta, questa sì fantascientifica, è stata riuscire, finalmente, a rendere concrete tutte le idee che fino al 2020 erano ferme sulle carte degli scienziati. Riuscire a rendere reali le innovazioni progettate e immaginate, a rendere reali i sogni di un futuro migliore.

Clorofilia è nata perché questo gruppo di “pionieri” ha capito che tutti i sogni degli scienziati erano sogni per pochi sognatori. Che bisognava trovare il modo di tradurre quelle ambizioni in qualcosa di “reale” per tutti. Che bisognava tradurre lo “scientifichese” nel linguaggio di tutti i giorni. Perché il paradosso era proprio lì: un futuro felice ed in equilibrio con l’ambiente esisteva solo nella mente di pochi studiosi, quando, invece, bisognava farlo diventare il futuro ambìto da tutti!

– E indovinate chi ha progettato il sistema che gestisce il traffico? 

– Ugo, ‘a fernsc o no, cu chesta cantilena? 

– Dai, zio, raccontaci quella cosa divertente che ci hai promesso prima!

– Va bene, va bene. Quest'ulivo qui, su questa piccola altura, e questa vista mi ispirano! Anche se ci vorrebbe una bella birra… 

– Birra? E perché?

– Eh! Allora, dovete sapere che il progetto Clorofilìa mi ha sempre entusiasmato e mi ci sono lanciato subito a capofitto, ma… i primi inverni qui, sull'isola, da soli, senza cinema, senza teatro, senza pub affollati… Che palle! Io ho studiato a Roma e sono nato e cresciuto nelle Marche, a Pesaro. Ero abituato alla movida, ragazzi… Così, ho trovato un modo per divertirmi un po'.

Un pomeriggio, un lungo pomeriggio di pioggia, un lungo pomeriggio di pioggia invernale, di quelli che ti bloccano in casa, bevendo una bella birra ho avuto l'illuminazione. E mi sono messo a scrivere un codice. In sole tre ore di intenso lavoro, ho prodotto DCR!

– E che è? Non ne abbiamo mai sentito parlare… 

– DCR, Dillo Con un Rutto. La prima APP che misura l'intensità dei rutti, la loro profondità ed intonazione e gli assegna un voto. Il voto tiene in considerazione potenza, cioè la vibrazione che produce, e intensità, cioè la durata.

– Una cosa seria, insomma… 

– Una cosa serissima, caro Aurelio! Ogni volta che realizzi un bel ruttone, la DCR ti invia una notifica sullo smartphone comunicando il voto assegnato al rutto e la posizione in classifica.

– Wow, c'è una classifica? 

– Sì, avevo installato di nascosto la APP nei telefoni di tutti usando la rete aziendale, dicendo che era una APP per il team building.

I bambini non riescono a smettere di ridere, si buttano per terra a pancia all'aria, rotolando persino. Ugo, soddisfatto, sottolinea che con quella APP i pomeriggi non erano più lunghi e noiosi…

– Ecco, appunto! Erano, al passato. Sappiate che la APP è stata disinstallata dai telefoni di tutti.

– Aurelio è un vero bacchettone, ragazzi. Che ci possiamo fare. Anche se ricordo perfettamente un suo rutto da dieci punti che lo ha portato in testa alla classifica per quasi due settimane. Ah ah ah!

I bambini continuano a ridere a crepapelle. Poi si riprende il cammino, con passo leggero.

Proseguendo la salita verso Monte La Guardia, Luca, il figlio di Flavio e Sara, chiama Ugo a squarciagola, ma non fa in tempo a finire la “o” del suo nome che gli parte un rutto gigante!

– Quanti punti ho fatto, zio? 

Gli adulti non sanno se ridere o arrabbiarsi, così lasciano perdere, lanciando occhiate traverse ad Ugo. 

Ma Ugo non molla e, fiero, risponde:

– Secondo me era un otto, forse otto e mezzo, ma, purtroppo, come sapete, la APP non è più in uso, e il mio sogno di costruire una società dal rutto libero è andato distrutto. Era un sogno… da avanguardia. Troppo, evidentemente. Peccato! 

– Ah ah ah, zio, mi sto divertendo tantissimo! Perché non abbiamo mai fatto prima una cosa del genere? È troppo bello raccontarsi storie vere… 

Tra chiacchiere e scherzi, il gruppo continua a salire verso Monte La Guardia e, grazie al fedele Fùfilo, che trasporta tutto il necessario sulla sua groppa, arrivano sul pianoro nei pressi del Faro antico, che qui chiamano "il semaforo" e montano le tende per accamparsi per la notte.

Quando è ormai tutto pronto, è quasi ora del tramonto. Chiara ed Elena chiamano tutti e li invitano a guardare verso ovest. Lì sotto ci sono gli scogli detti "le Formiche". Quando il mare era più basso di così, le Formiche erano una serie di piccoli scogli affioranti, molto aguzzi, da cui tenersi alla larga. Ora sono anche peggio, perché sono proprio a pelo d’acqua o subito sotto la superficie di qualche centimetro e chi ha barche con la chiglia profonda rischia di arenarsi. Le Formiche, nel 2040, vengono sempre nominate solo come fonte di disgrazia: “Quello si è arenato alle formiche", "quell'altro ci ha quasi rimesso le penne" eccetera.

Ponza. Le Formiche

Ma, viste dalla cima del monte, sono tutta un'altra storia. Le Formiche sono bellissime. Delle lame di roccia che, al tramonto, creano giochi di luce stupendi. Elena le tiene sempre sott'occhio perché, secondo le leggende dei pescatori, intorno alle Formiche si trova sempre un sacco di pesce e, quando non ci sono i pescatori, ci vanno i delfini. Solo che, in vent’anni, ad Elena non era mai capitato di vederli, questi famosi delfini delle Formiche. E invece, oggi, sono tornati. Sono proprio lì, intorno agli scogli, a banchettare. Da lassù si vedono solo i riflessi che i loro dorsi producono riflettendo la luce del tramonto. Ma sono riflessi inconfondibili, sono delfini!

Rimangono un po' in contemplazione, mentre Chiara racconta a tutti che le Formiche, e tutte le rocce lì sotto, sono nere perché la zona dell'isola in cui si trovano ha una storia diversa dal resto. Le rocce vulcaniche di Monte La Guardia sono più recenti rispetto alle altre rocce dell'isola. L'eruzione data un milione di anni, ed è formata da lava trachitica; ovvero, il domo del monte si è formato quando l'isola era già emersa, e le eruzioni sono state di tipo idromagmatico. Durante l'eruzione, cioè, l'acqua entrava nel comignolo del vulcano, facendo raffreddare la lava molto in fretta e creando giochi di forme e cavità molto particolari. Alla parata degli Scotti, oltre che a Le Formiche, ci sono esempi bellissimi di questo tipo di rocce. Di questo stesso periodo sono Ventotene e Santo Stefano. Ventotene è quel che resta di un enorme cono vulcanico esplosivo che è stato attivo, forse, fino a 300.000 anni fa e che poi è collassato in mare. Da qui Ventotene si vede benissimo, la “ricetta” è perfetta: un’isola sullo sfondo, il mare azzurro nel mezzo e lo sguardo sconfinato verso l’orizzonte. Le emozioni si aprono in un abbraccio ed il pensiero può vagare. Francesca, più ispirata che mai, “lancia” una delle sue storie.

Perché non si può costruire un bel futuro senza una buona storia su cui appoggiarsi. L’isola, ancora una volta, ne ha una da raccontare. Francesca è la sua bocca.

– Guardando il mare da questa prospettiva, con lo sguardo rivolto a sud, mi viene in mente la storia delle navi coralliere. Nella seconda metà dell'Ottocento, Ponza era al suo massimo splendore. La gente si occupava di pesca e di agricoltura. Sull'isola si stava, tutto sommato, bene. I ponzesi, in particolare, erano specializzati nella pesca d'altura, la pesca del pesce spada, e nella raccolta del corallo, un'attività che avevano ereditato dai loro avi, gli abitanti di Torre del Greco, venuti qui a colonizzare una parte dell'isola. La joint venture, come la chiameremmo oggi, tra Torre del Greco e Ponza era una “potenza” nel campo della raccolta del corallo, famosa in tutto il Mar Mediterraneo: si scambiavano o mettevano in comune navi, equipaggi e finanze. E qui, sull’isola, abitavano i più famosi e più bravi corallieri d'Italia.

Girando per il Mediterraneo, avevano scoperto l'isola La Galite, cento miglia a sud della Sardegna, di fronte alla città tunisina di El Kale, La Calle in epoca francese.

I ponzesi conoscevano già La Calle, perché scappavano lì quando volevano evitare di pagare le tasse, quando l'isola era troppo affollata o, nella gran parte dei casi, quando l'esercito li chiamava a combattere e loro non volevano andarci! Un rifugio di ponzesi "mariuoli", insomma!

Tra i vari "mariuoli fuggitivi" c'era un certo Antonio D'Arco che, nel 1867 "se ne scappó" da Ponza a La Calle su una nave coralliera di Torre del Greco per sfuggire ad una condanna. Aveva picchiato a sangue un coatto, ed era ricercato. 

– Ma, zia, i “coatti” di Roma? 

– Ma no! I coatti erano persone che venivano confinate sull’isola. Erano costretti a stare qui come se Ponza fosse una enorme prigione. Domani, scendendo in paese, prometto di raccontarvi anche questa storia.

Comunque, cinque anni dopo essere arrivato a La Calle, Antonio D'Arco prese una barca, la famiglia, sette fucili da caccia, quattro mobili, qualche animale, qualche seme ed occupò l'isoletta La Galite, proclamandosene padrone.

– Seeee! Che matto!

– Infatti. Fatto sta che, dopo qualche tempo, lo raggiunse Giuseppe, suo fratello. L'isola cominciò a diventare presto un vero e proprio piccolo regno, tanto che la Francia, che all'epoca dominava sulla Tunisia, chiese ai tunisini di inviare una nave a vapore per far sloggiare i ponzesi.Era il 1873. Antonio D'Arco avviò una piccola guerra di resistenza, ma aveva solo sette fucili! Così si arrese. A patto, però, che i tunisini gli… pagassero il disturbo, per così dire. Volle un indennizzo in cambio della resa. E se ne tornò a La Calle. Però, Antonio, fermo non poteva stare, così già nel 1877 tornò di nuovo sull'isola. La Tunisia, stavolta, mandò subito una guardia, una sola... una di numero, con tanto di bandiera nazionale, per sottolineare che quella era e rimaneva terra tunisina. Questa situazione stava bene a tutti, così cominciò una pacifica convivenza. I coloni ponzesi divennero addirittura duecentocinquanta, perfettamente organizzati, come se fossero a Ponza. Con le istituzioni, il dialetto ed i santi protettori identici a quelli dell'isola madre. Insomma, una piccola Ponza in mare di Tunisia.

– Fico! Che spettacolo, zia. Questa storia è veramente incredibile. Ma è vera? 

– Sì, sì. Verissima, Licia! 

– E sono ancora lì, i “ponzesi tunisini”? 

– No. Purtroppo, la storia è finita male. Durante la Seconda guerra mondiale, l'Italia di Mussolini dichiarò guerra alla Francia. Di contro, i francesi arrestarono tutti i ponzesi di La Galite rimasti cittadini italiani. Quelli che, invece, erano diventati francesi, andarono in guerra con la Francia. I ponzesi, però, proprio come Antonio D’Arco, non sanno stare fermi! Così, dopo la guerra, i ponzesi di La Galite ripresero la “marcia”, se ne andarono in giro per il Mediterraneo e l'isola si spopolò. Nel 1967, sull'isola erano rimasti solo sessanta ponzesi. A metà degli anni Settanta, a La Galite era rimasto un solo abitante, che di cognome faceva, ovviamente, D'Arco. 

– Wow. Che figata! Ponzesi “all over the world”. Grazie per questa storia, zia. Mi è proprio piaciuta. Mi fa pensare che il mare non sia un limite ma un territorio da esplorare.

– Grazie a te, Elettra. Adesso a dormire! Buona notte a tutti.

Il piccolo campo improvvisato, con le tende hi-tech in fibra di carbonio, la cucina mobile, Fùfilo e tutto quello che abbiamo conosciuto in questi giorni, è presto pronto e silenzioso: i bambini sono stanchi e, dopo una rapida cena, vanno dritto in tenda. I grandi si ritrovano sotto il faro, ad osservare le stelle.

– Mi pare che il viaggio stia funzionando, non pensate?

– Sì, Aurelio, è stata veramente una grande idea. Presi dai nostri impegni, dai nostri sogni, dai nostri figli, non avevamo mai pensato di prenderci il tempo per fare il bilancio di questi ultimi venti anni, in modo leggero, attraverso le nostre storie.

– Anche la DCR fa parte della nostra storia…

– Ugo!

– Ok, scusate… Scherzi a parte, è incredibile come, anche dopo venti anni, quest’isola ci parli ancora e continui ad ispirarci.

– Festeggio il parto di questo raro pensiero filosofico di Ugo con una riflessione altrettanto pretenziosa: le isole sembrano l’esatto opposto di questo sconfinato cielo stellato: piccoli mondi chiusi, ti fanno pensare che tutto sia sotto il tuo controllo, o, almeno, che tu possa davvero conoscerle in ogni angolo, che non abbiano segreti… E, invece, sono esattamente come questo cielo: infinite. Perché in realtà sono solo una piccola parte dell’immenso che le circonda.


Marco Mastroleo, Latina 28/02/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 12 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

Oppure cliccate "mi piace" sulla pagina Facebok https://www.facebook.com/passeggiando.info per rimanere sempre aggiornati sulle vicende di Clorofilia.

Approfondimenti:

- Il Semaforo di Monte La Guardia, Ponza: https://www.ponzaracconta.it/2012/02/23/il-semaforo-del-monte-guardia/

- Le Formiche, Ponza: https://www.ponzaracconta.it/2013/10/28/le-formiche-di-ponza-una-leggenda/

Ringraziamenti:

Grazie a Claudio Lucchi, collega (agronomo) e amico, col quale ho condiviso anni e anni di riflessioni sui temi dell'agricoltura sostenibile, dell'agricoltura di precisione e del ruolo dell'agricoltura nel futuro dell'umanità (oltre a innumerevoli altri argomenti da "essere o non essere"). Flavio è un po' lui...

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

serre automatizzate, robot, Autobus elettrico, Le Formiche, Monte La Guardia, La calle, delfini, ponza

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I testimoni di Gea, parte 6

Lo sai come ho fatto a beccarti, EL? Con quel post, quella specie di discorso di adesione a "M'illumino di meno" di Caterpillar, Radio Due. Ti ho beccato perché sono bravo!
Ho cercato post scritti prima dell'inizio del “fenomeno GEA”, che parlassero di temi simili, postati da località simili a quella da cui sembra scrivere EL… Ne ho letti a migliaia, di post… Finché non ho trovato questo!

Lo stile era lo stesso, stessa prosa, stesso impeto… E ti ho scritto: "So che sei EL. Se non vuoi che sveli la tua identità, rilasciarmi un'intervista…”. Ed eccoti! Beccato! 

A gennaio 2018, Aurelio Belcanto scriveva: 

“Aderiamo anche quest'anno a ‘M'illumino di meno’ di Caterpillar - Radio due. Ci crediamo e non siamo gli unici. È un gesto simbolico, dura poche ore e, in quel tempo, insieme a tantissime altre persone, si prova a ridurre i consumi quotidiani o, per lo meno, a riflettere sulla sostenibilità del nostro vivere. Certo, quelli di noi che ci credono di più, tentano in ogni modo di applicare i principi di quel momento nella vita di ogni giorno. In omaggio alla conduttrice Sara Zambotti provo a dare una definizione antropologica: è un rito!
E, vista l'enfasi che ognuno ci mette, azzarderei: è un rito religioso! 

Quella di ‘M’illumino di meno’ é la festa della speranza di un futuro diverso. Ormai, quelli che ci credono la vivono più come una fede che come un convincimento ottimistico, vista la situazione politica italiana e, purtroppo, anche mondiale! Gli ultimi global meeting sul clima sono stati un disastro e ne siamo tutti consapevoli, un impegno forte e importante come quello di Kyoto non si è più ripetuto!

Ma IO (anch’io aderisco a questa setta religiosa) ci credo ancora e, per questo, aderisco e VOTO ‘M’ILLUMINO DI MENO’. DEVO crederci. Vorrei avere dei figli, ed il mondo, prima di tutto, apparterrà a loro. Bisogna rispettarlo perché accetti ancora di ospitarci e nutrirci!

Quella della chiave religiosa non è solo una riflessione sulla FEDE verso un mondo nuovo! Ho ascoltato la trasmissione (come sempre)  anche in questi giorni, e il 15 febbraio sarà un fiorire di candele, di riti intorno al fuoco, di canti ripetuti in coro e con enfasi… Riti religiosi veri e propri. Mi rimane un dubbio, in quale divinità crediamo? Facciamo il tifo per la Terra, per Gea? Allora siamo dei ‘Geani’... Accenderemo candele, canteremo inni e crederemo in un premio futuro imponendoci regole nel presente…”.

Aurelio Belcanto , EL, lo “sciamano” dei Testimoni di Gea… Beccato! Sei alle corde… Preso!

GNAM!

«Le faccio un'ultima domanda: qual è il vostro messaggio finale? Come potete riassumere, in poche parole, la vostra filosofia?».

«Essere Testimoni di GEA significa avere la consapevolezza di essere tutti parte della stessa, unica, comunità, della quale noi siamo il cervello e la mano, ed abbiamo la responsabilità di preservare e rendere disponibile questa comunità per le prossime generazioni. 

Il nostro compito è quello di far cambiare il punto di vista degli uomini rispetto al mondo in cui abitano: dall'antropocentrismo alla comunità interconnessa di GEA».

«Ho letto una bellissima frase sui vostri social a proposito dell’uomo. Me la ripete?».

«Non è l'uomo ad essere unico, è unica la combinazione che lo ha portato ad avere il suo posto in GEA.

SOLO CHI NE HA COSCIENZA PUÒ VIVERE IN ARMONIA».

Che devo dire? 

La carica agonistica che avevo quando sono venuto a cercarti è un po' scemata. Le parole, le suggestioni che sono nate nel corso di questo dibattito mi hanno spiazzato. Questi "Testimoni di Gea" non sono come gli altri millantatori che ho scoperto negli anni. Dicono cose tutto sommato accettabili, quasi nobili. 

Il mastino, il Bull che è in me ha allentato la presa, il morso non è più come all'inizio del round e tu, Zanna Bianca che non sei altro, ne hai approfittato e, zompettando di qua e di là, mi hai stordito. 

Non riesco manco più a dire GNAM...

Eppure sono certo che qualcosa mi sfugga ancora. Ci deve essere qualcosa sotto, ne sono certo. Il fine ultimo di questa pseudoreligione è un altro. E lo voglio scoprire. Lo devo scoprire!

Cosa nascondete, EL? 

Aurelio, EL, sei stato furbo. Sui tuoi profili non c'è nessuna tua immagine. Non so che faccia tu abbia. Anche per rilasciare l'intervista hai preteso di indossare una maschera ed un mantello. Bastardo… Era un compromesso sul quale non potevo non cedere. E m'hai fregato!

Perché ti nascondi? Perché non vieni allo scoperto? Lo devo sapere… 

La battaglia non finisce qui. Prima o poi scoprirò tutto di te. Saprò dove abiti, cosa fai nella vita. E cosa te ne fai dei soldi che questa “storia” dei Testimoni di Gea ti sta portando…

Sarai certo un fottuto miliardario… Dove sei?

Verrò a trovarti, fidati...


 Marco Mastroleo, Latina 07/03/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 12, continuerà il viaggio sull'Isola di Ponza...
(il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

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Approfondimenti:

Per aderire a M'illumino di meno 2021 https://www.raiplayradio.it/articoli/2017/11/Millumino-di-Meno-5f36dba8-24f8-4480-9235-080b2db021de.html

Ringraziamenti:

Come sempre, Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

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I testimoni di Gea, parte 5

«“Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza”. Questa frase riassume perfettamente il concetto di antropocentrismo e la nostra voglia di autodeterminazione. Se io sono come DIO, io POSSO TUTTO. Io, figlio di DIO, che è creatore del cielo e della terra, sono superiore rispetto a tutto quello che mi circonda, e il creato è al mio servizio! Vede, questa concezione, che gli scienziati chiamano “antropocentrica”, per migliaia di anni ci ha impedito di aprire gli occhi e di approfondire la nostra ricerca della verità. Potevamo arrivare già molti secoli fa alle conclusioni cui siamo arrivati oggi, se non avessimo accettato questa visione del mondo come l’unica possibile!».

«Non siete creazionisti, mi pare di capire… Però, se siamo parte di una rete, se siamo parte di GEA, e GEA è il superorganismo di cui parlate… beh, allora, da un certo punto di vista, GEA è Dio! Noi siamo suoi figli e da lui siamo stati creati… Solo, mi verrebbe da dire, secondo voi Dio non è “nell’alto dei cieli” ma qui, sulla terra!».

«Per i Cristiani che credono in GEA, è così. Dio è GEA, e agisce tramite l’evoluzione. Realizza il suo progetto usando l’evoluzione. Insomma, per i testimoni Cristiani, Dio crea attraverso l’Evoluzione, Dio è “la scintilla”, è “la mente” del progetto ma non “la mano”... “la mano” della Creazione è l’evoluzione! 
Rispetto la loro posizione. Ma io no, non credo di essere stato “CREATO” attraverso l’evoluzione… Penso di essermi EVOLUTO in quello che sono senza l’intervento di un “regista”. Penso che l’evoluzione agisca in maniera indipendente. Anzi, sono convinto che se non accettassimo totalmente il principio dell’evoluzione, ovvero dell’adattamento degli organismi all’ambiente, non potremmo comprendere GEA e quello che significa realmente».

«Quindi, i testimoni di GEA Cristiani, secondo lei, non sono veri testimoni di GEA! Avete già discriminazioni e correnti? Cominciamo bene…».

«In questa nostra conversazione, uno dei primi concetti che ho introdotto è stato: siamo tutti in ricerca! Anche i testimoni di GEA Cristiani...
Per questo, come le dicevo all’inizio, secondo noi, quasi tutti credono in GEA ma non l’hanno ancora capito. Vede, i Cristiani credono che Gesù sia il figlio di Dio, quindi parte della mente che ha creato il mondo… Bene, io credo che sia stato un profeta che ha raccontato, ben prima di noi, il concetto di rete. Gesù ha raccontato GEA quando ha detto che il suo unico comandamento era “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. È stato il primo messaggio di uguaglianza e fraternità. È stato il primo uomo ad affermare che tutti siamo uguali. Seguendo il suo messaggio, ad esempio, Francesco d’Assisi ha capito che tutti gli esseri viventi meritano rispetto e, a suo dire, sono figli di Dio. Io sono sempre stato un fan di Francesco. Aveva già intuito che il rispetto della natura, la ricerca di un rapporto con quella che noi chiamiamo GEA e che lui chiamava Creato, è fondamentale e porta ad una crescita spirituale... È alla luce di tutto ciò che diciamo che i Cristiani, pur senza saperlo, credono in quello che secondo noi è stato uno dei primi testimoni di GEA.
Ora, per tornare alla sua domanda… I testimoni di GEA Cristiani pensano che Dio sia GEA e che, per questo, noi siamo tutti figli di GEA e fratelli di Cristo. E qui sta la differenza tra me e loro: io non penso che GEA ci abbia creati e basta. Penso che GEA sia parte di noi, e che la creazione sia parte di noi perché si esprime attraverso l’evoluzione.
La creazione in GEA e l’evoluzione sono la stessa cosa. Per semplificare il concetto, loro credono che GEA ci abbia creati e che noi siamo il frutto finale del lungo percorso che ha portato a noi. Io, invece, credo che noi siamo solo una tappa, un momento, e che dopo di noi l’evoluzione porterà altri ospiti su GEA».

«Per capirci, loro pensano di essere figli di Dio, lei crede di “essere” Dio!».

«Io credo che l’evoluzione non sia finita, loro sì. Ovvero, io mi sento parte di un percorso, loro il capolinea!
Su una cosa però siamo tutti d’accordo! In questa rete, in GEA, noi persone umane abbiamo un ruolo speciale. E responsabilità maggiori rispetto agli altri componenti.
Crediamo che l’uomo, con la magnifica combinazione di mani, cervello e camminata bipede, sia un nodo speciale della rete di GEA. Siamo gli unici animali che abitano in tutti gli ambienti della Terra, abbiamo grandi capacità di comunicare e costruire. Abbiamo la capacità di modificare l’ambiente che ci circonda in modo estremamente più potente di qualunque altro organismo vivente in GEA. E, infine, siamo diversi per il motivo per cui siamo qui ora: ci poniamo delle domande diverse dalle, pur necessarie, “cosa mangerò oggi?” o “riuscirò a riprodurmi?”.
Questa grande capacità, questo nostro essere speciali, allo stesso tempo, ci dà grandissime responsabilità».

«Sta tornando sull’aspetto delle responsabilità... E capisco cosa intende. Il vostro è un messaggio ambientalista! La connessione con la Terra, le persone umane e non umane… Siete stati definiti gli “hippy del nuovo millennio”. E non a caso. E pare anche che questo aspetto sia quello che, di voi, piace più al grande pubblico. Mi può spiegare meglio come si concilia il vostro “essere parte di GEA” con le manifestazioni che tanto hanno fatto parlare di voi? Con l’ambientalismo del secondo millennio?».

Da cinque sei anni a questa parte, tutti i post ambientalisti, tutti gli slogan, tutte le raccolte fondi, soprattutto tutte le raccolte fondi, hanno avuto un “brand” unico!
Nel 2019 è esploso il fenomeno Greta Thunberg. Era tutto un “menomale che Greta c’è”, “viva Greta Thunberg”, “doveva arrivare una ragazzina abile con i media per spiegarci che il clima è cambiato?”. Sembrava che tutto l’ambientalismo mondiale girasse intorno alla figura di questa Greta. Chissà, poi, chi c’era dietro questa Greta… 

Comunque… Da qualche anno a questa parte, invece, tutti i movimenti ambientalisti parlano solo ed esclusivamente di GEA: eventi, feste, raduni, post sui social… Una vera mania!
Il nome GEA era presente anche in cose poco nobili, anche in cose evidentemente macchinate. Anche in eventi abbastanza ambigui, c’era GEA... Come nei raduni dei naturisti. Quelli sì che hanno fatto discutere! È che ’sta cosa della rete, del contatto con la terra, ha scatenato tutti, in interpretazioni più o meno fantasiose. Si spazia facilmente da notizie in prima pagina che parlano di cinquantamila manifestanti radunati a Roma per marciare in nome di GEA, a trenta idioti completamente nudi che fanno irruzione in una spiaggia affollata urlando che bisogna riscoprire il contatto con GEA, che la nostra Madre ci vuole così come ci ha creati!
E, aggiungo, la cosa che mi ha urtato di più è stata la creazione di un marchio ambientalista che pretende di “certificare” tutti i prodotti in commercio con una scala da zero a dieci di “vicinanza a GEA”. Una specie di GEA footprint… una mossa commerciale vile e bassa che, secondo me, ha solo lo scopo di recuperare soldi sfruttando la credulità della gente!

«Sì, capisco cosa dice. Alcune manifestazioni sono state abbastanza ambigue. Non le giustifico e non le approvo, per niente. Sembra che sia praticamente inevitabile che, ogni volta che un nuovo culto prende piede, arrivi qualcuno che voglia sfruttare la visibilità del culto stesso per farsi gli affari propri. Le assicuro che non abbiamo niente a che fare con le esagerazioni che si sono viste in giro. D’altra parte, se ci pensa bene, quando i Cristiani hanno istituito la festa del Natale non pensavano al Babbo Natale vestito di rosso della Coca Cola o alla ressa nei centri commerciali per comprare letteralmente di tutto in una sorta di delirio collettivo! I culti, le fedi, le religioni, nascono e basta. È poi l’indole dell’uomo che le deforma. Siamo fatti così, non possiamo negarlo…
Invece, e lo dico con un pizzico di orgoglio, da quando abbiamo scoperto il nostro legame con GEA, sono aumentate tantissimo le persone che stanno molto attente all’impatto delle loro azioni, alla loro responsabilità nei confronti di GEA. Sono aumentate le imprese green, le manifestazioni pacifiste… La cultura stessa del pacifismo ha assunto un altro valore. È, per così dire, più consapevole! E poi, deve ammetterlo anche lei, quanto è bello, nel 2040, vedere gente che si raduna sulla spiaggia, in silenzio, per godere dello spettacolo del tramonto! O quanto è bello sapere che alcuni gruppi si radunano poco prima dell’alba e, al sorgere del sole, si scambiano un abbraccio e d iniziano la giornata felici! Nel 2040, capisce? È bellissimo! Prima della scoperta di GEA, sembrava che le emozioni, la socialità, la vita intera, dovessero e potessero svolgersi solo ed esclusivamente dietro lo schermo di uno smartphone o di un tablet. Abbiamo riportato l’umanità agli uomini. E ne sono fiero!».

Stavolta m’ha fregato! Lo ammetto. 
’Stò Zanna Bianca è più scaltro del previsto. Devo riconoscere che non avevo mai considerato questo punto di vista… Ma non mollo. Voglio arrivare fino in fondo!

«Un’altra domanda insidiosa: secondo quanto mi ha detto, l’uomo è l’essere più importante in GEA, ma, allo stesso tempo, è anche quello che più la danneggia. Lei parla di responsabilità, e capisco: alcuni esseri umani credono in GEA, e, ognuno a modo suo, responsabilmente cercano di convivere nella rete; altri no, e, non preoccupandosi delle loro azioni, la danneggiano. Alla base di questo ragionamento c’è l’ammissione del fatto che non tutti gli uomini sono uguali, che invece è quanto lei ha affermato prima, dicendo che tutti siamo parte di GEA. Potrebbe spiegarmi?».

«Per essere precisi, Io le ho detto che tutti facciamo parte di GEA, ma non che tutti abbiamo la percezione di farne parte. Ne deriva un’altra constatazione. Tutti gli uomini sono potenzialmente uguali, ma in realtà non lo sono. Mi spiego meglio. Geneticamente siamo tutti uguali: stessa specie, stesse caratteristiche, siamo bipedi, abbiamo le mani, abbiamo un grande cervello, e così via. Però, alcuni di noi sono molto abili con le mani, altri lo sono con la mente, altri corrono meglio... E questo rientra perfettamente nel concetto di biodiversità e variabilità che sta alla base dell’evoluzione. Se tutti fossimo esattamente uguali, cioè, se non ci fosse nessuna differenza tra di noi, non saremmo individui ma cloni! L’evoluzione invece opera attraverso la variabilità. GEA permette che ci siano delle differenze tra un individuo e l’altro perché quelle differenze potrebbero rivelarsi determinanti per la sopravvivenza in un particolare ambiente o in una particolare situazione. È la biodiversità, come dicevo. Ed è indispensabile, davvero! Anche gli uomini sono tutti diversi tra loro, alcuni hanno capacità cognitive maggiori o particolari rispetto ad altri. Quello che abbiamo imparato conoscendo GEA è che, rispetto al concetto generale “amatevi gli uni gli altri” proprio del Cristianesimo, essere consapevoli di far parte di una rete ci permette di rispettarci davvero l’un l’altro, fino in fondo! Perché la COSCIENZA di GEA presuppone la CONOSCENZA del fatto che ognuno, in GEA, ha un suo compito ed occupa il suo posto. Nessuno è superiore e nessuno è inferiore, ognuno ha un compito e permette a GEA di esistere. La COSCIENZA, intesa in questo modo, non impone niente, non costringe nessuno a rispettare comportamenti codificati solo perché Dio l’ha detto… Semplicemente mette ognuno di noi di fronte ad una evidenza: siamo tutti parte della stessa rete, siamo interconnessi! E questo rispetto, questa COSCIENZA di unità in una COMUNITÀ, è alla base di quello che lei ha chiamato ambientalismo. Se siamo tutti connessi, non possiamo metterci su un piedistallo e decidere della vita e della morte degli altri componenti della rete con la superficialità con cui lo facciamo ora. Se facciamo del male alla rete, a GEA, facciamo del male a noi stessi… perché NOI SIAMO GEA!».

«Siete vegetariani? A sentire questi discorsi mi viene da pensare che non possiate uccidere altri animali per mangiarli, perché sarebbe come uccidere voi stessi. È così?».

Mi sono accorto di quanto fosse diventato enorme questo fenomeno dei testimoni di GEA quando, un giorno, attraversando l’agro romano e pontino, ho visto letteralmente una marea di cartelli con su scritto: GIARDINO DI GEA.
Erano ovunque! Sui cancelli delle ville, all’ingresso delle aziende agricole. Ce n’era uno per ogni strada!
Vivendo in città non me ne ero mai reso conto, non mi ero accorto di quanto fosse diventato capillare questo fenomeno. Mi hanno raccontato che i giardini erano parte di una rete diffusa in tutto il mondo. I “testimoni” erano ovunque e si radunavano nei giardini, dove, attraverso attività come la realizzazione e la cura degli orti, le passeggiate nel bosco, delle semplici serate intorno al fuoco, entravano “in contatto con GEA”. Una sorta di messa laica e senza sacerdoti, e i giardini erano una sorta di chiese. Lì ho capito che un fenomeno di proporzioni così gigantesche doveva nascondere degli interessi economici forti. È così che ho deciso di indagare, la cosa mi puzzava troppo!

« Non siamo vegetariani. Cioè, alcuni di noi lo sono ma, in generale, sulla Terra tutti i predatori si cibano di prede. Quindi, perché noi uomini non dovremmo? Ciò che è importante, secondo noi, è farlo in maniera responsabile, senza esagerare e rispettando chi dà la vita perché noi possiamo sfamarci. Per esempio, ci teniamo al fatto che gli animali da macello vengano “salutati” e “ringraziati” per il loro sacrificio e, soprattutto, che vengano trattati bene durante la vita. Non mangiamo carne di animali cresciuti in allevamenti intensivi o in gabbie troppo strette. Se possibile, compriamo la carne di animali allevati nei GIARDINI DI GEA. Chi apre un giardino si impegna a rispettare tutto quello che la comunità raccomanda. Insomma, anche quando ci cibiamo, cerchiamo di non dimenticare di essere tutti connessi, anche con il cibo che consumiamo…».

Se fa presto a esse connessi co ’na bella fiorentina!
Ecco un altro business. L’ha ammesso! Esiste! È dietro questa enorme catena dei giardini. Chissà quanti soldi girano dietro ’sta cosa?! Devo indagare meglio, ci scriverò un articolo.
Per ora andiamo avanti…

«Abbiamo parlato del far parte della rete, abbiamo parlato dei nodi della rete ma ancora non capisco come fanno i nodi della rete a tenersi insieme! Quali sono i fili della rete? Dobbiamo immaginarci una sorta di ragnatela invisibile? Come comunicano i componenti? È una rete wireless, o cosa? E, soprattutto, come avete fatto a capire quali meccanismi usa?».

«Geni ed energia. Energie cosmiche, fisica dei quanti e, più in concreto e “tangibile”, DNA. Si potrebbe quasi dire che, a livello macroscopico, i nostri geni sono GEA, e mettono in comunicazione tutti gli esseri viventi.
Le informazioni contenute nei geni racchiudono la nostra storia, ci permettono di adattarci, di mutare, di mangiare questo o quel cibo. Se GEA fosse una storia da leggere, i geni sarebbero la lingua che usa per raccontare questa storia agli esseri viventi. 
Tra gli esseri viventi e la Terra, la parte minerale della Terra, invece, esiste una rete più impalpabile, più difficile da decifrare, che lavora a livello molecolare, microparticolare. Sono le particelle essenziali, sono i quanti – che la Fisica sta decifrando – a mettere tutti noi in comunicazione con la Terra e con l’Universo.
I fisici affermano che alla base dell’architettura dell’Universo ci sono tre elementi: quark, protoni e gluoni, che sono sempre gli stessi, dalle origini dell’Universo ad oggi, e compongono gli atomi di tutta la materia. Ecco, queste sono le fibre della rete, sono GEA, sono la nostra anima!».

«Mi sta dicendo che GEA è universale? GEA “esce” dalla Terra? Se comunica con il resto dell’Universo, forse non è solo qui sulla Terra…».

«Penso che nessuno scienziato sia in grado di dare una risposta del genere, oggi. Ma “l’essenza della materia”, la “risposta” di cui stiamo parlando, è ciò che stanno cercando al CERN di Ginevra e con gli altri acceleratori di particelle. Le ripeto che, al momento, non siamo in grado di rispondere. La questione è molto più grande di noi. Ma, lo ammetto, mi piace pensare che GEA sia sulla Terra e che comunichi con altre GEA su altri pianeti, nel resto dell’Universo. È affascinante, non crede?».

Eh, pure gli extraterrestri mo! Se la condiscono bene la minestra, ’sti furbi! Pescano dappertutto: nei Cristiani, negli atei, negli ambientalisti… Ed ora, con questa mossa, pure nei fisici teorici. Vogliono creare una religione, un movimento mondiale che piaccia a tutti. Universale, oserei dire. Devo ammettere che non avevo capito che fossero così furbi! Che puntassero così in alto. 

Eppure, caro EL, un punto debole dovrai pure averlo. E io lo voglio trovare. Sto qui, aspetto, con i denti serrati sul tuo bel sederone da lupetto. Caro il mio Zanna Bianca, il Bull non molla… 

GNAM!

«Tutti questi discorsi sull’Universo mi fanno tornare alla mente un concetto che abbiamo lasciato in disparte prima. Ora che so cos’è GEA, mi può finalmente dire cosa è l’anima per voi?
Mi ha fatto capire che credete nella scienza, che amate la genetica e la fisica delle particelle. E l’anima? È un concetto del tutto religioso. Che parla del non percepibile!».

«È la domanda che ci fanno più spesso: credete nella reincarnazione dell’anima? Credete nella vita oltre la morte? Che fine facciamo quando terminiamo la nostra vita sulla Terra? E così via. 
Come le dicevo all’inizio, tra i testimoni di GEA ci sono anche dei Cristiani. Per loro la risposta è ovvia: c’è una vita dopo la morte, c’è quella che loro chiamano la “grazia di Dio”, ovvero il paradiso, uno spazio nel quale l’anima può passare ad un livello superiore, entrare in contatto con DIO. Una specie di “altra dimensione”. Altri di noi, i non Cristiani, hanno altri punti di vista. Non abbiamo una visione unica!»

«Avrete qualcosa in comune, immagino…».

« Sì, certo. La morte è la fine del nostro percorso sulla Terra. La fine del percorso del nostro corpo. Quello che viene dopo è legato all’anima. È un altro argomento».

«Lei come la pensa? Qual è la sua visione?».

«Io, personalmente? Una volta terminata la vita, il corpo ha esaurito la sua funzione in GEA. Il passaggio in GEA è avvenuto, il nostro ruolo è concluso: i nostri geni sono stati messi in circolo, abbiamo prodotto la nostra forma di entropia ed abbiamo scambiato molecole con il resto del pianeta. Perché la nostra parte la giochiamo nel corso della vita, con la riproduzione, l’alimentazione, la partecipazione eccetera... In ogni momento della nostra esistenza, come abbiamo detto, siamo in contatto con GEA. Per cui non abbiamo bisogno di pensare che dopo la morte ci possa essere un’altra vita. La nostra vita è adesso, ed è adesso che dobbiamo viverla al meglio, per essere parte attiva di GEA. Sono troppo pragmatico per lei? L’ho delusa?».

« Ah ah ah! No, no, non mi ha deluso! Mi chiedevo, però… Come fate a far convivere queste due visioni? Da quanto ho letto su di voi, avete un rito “di passaggio”, una cerimonia funebre. È questo che vi accomuna?».

«Sì, infatti. Esatto. Se abbiamo capito bene cosa vuol dire essere parte di GEA, è facile intuire che il rito migliore di sepoltura è l’inumazione. Se veniamo inumati, entriamo in contatto diretto con la terra, possiamo materialmente ritornare alla terra, rientrare nel circolo della vita del pianeta attraverso gli organismi decompositori. Le molecole del nostro corpo diventano, fisicamente, parte di GEA. E così, anche la nostra anima si disperde in GEA… 
Però, sappiamo anche che siamo troppi: troppi uomini abitano questo pianeta e, pensare di poter inumare tutti significa pensare di usare tantissimo spazio, tantissima terra, solo per permettere questo passaggio. Non c’è così tanto spazio e, soprattutto, non ci piace l’idea di utilizzare troppa terra in questo modo. Preferiamo che venga usata per piantare alberi o produrre buon cibo…».

«E quindi? Come si risolve questo problema? È una contraddizione…».

«Torno a dire, secondo noi il rapporto con GEA avviene soprattutto durante la vita. Innanzitutto, noi partecipiamo in GEA riproducendoci e, quindi, rimettendo in circolo i nostri geni; partecipiamo agendo in linea con l’armonia di GEA, quindi mettendo in circolo energie e pensieri positivi; partecipiamo preoccupandoci di salvaguardare gli ambienti naturali e gli altri abitanti di GEA, eccetera. Ovvero, il nostro passaggio avviene soprattutto nel corso della nostra vita. I Cristiani dicono “ama il prossimo tuo come te stesso”, il che è in linea con GEA, lo ricordavo prima. I non Cristiani vanno anche oltre, dicono “ama il mondo tuo come te stesso” e partecipa in GEA! Se vivi così, la morte diventa una formalità…».

«Una formalità?».

«Sì, non mi fraintenda! Voglio dire che, se si vive così, si può morire in pace, senza preoccuparsi di come avverrà il passaggio in GEA alla fine della vita. Quindi, vista in questo modo, anche la cremazione va bene. Se si vive nelle città, luoghi affollati con poco spazio e poco suolo, scegliere la cremazione è la cosa più intelligente, secondo me. 
Anche con la cremazione, però, rimane un punto fermo. È il nostro rito, la nostra forma per marcare la nostra appartenenza a GEA: i testimoni di GEA spargono le loro ceneri in natura. Per noi la morte è solo il termine del nostro percorso corporeo. La nostra anima, la nostra energia, quello che abbiamo fatto in vita continuerà a risuonare in GEA per sempre. I testimoni di GEA continuano a vivere in GEA anche dopo la morte!
Eppure, visto il ruolo cruciale che ha il nostro corpo nel “contatto” con GEA e con i suoi abitanti, con gli altri uomini, con i nostri cari, con tutto l’ambiente che ci circonda, sappiamo che “salutare il corpo” ha una importanza fondamentale per gli uomini, è un momento ricchissimo di emozione. Quindi salutiamo i nostri defunti compiendo un gesto simbolico e liberatorio: spargiamo le loro ceneri in natura, in un luogo al quale erano particolarmente legati, un luogo nel quale sentivano particolarmente forte il loro legame con GEA. È un rito bellissimo, perché lo viviamo con una festa, sempre diversa perché organizzata dai cari del defunto nel rispetto di ciò che egli è stato in vita, scegliendo riti, musiche e cibi che ne hanno caratterizzato il passaggio in GEA. Per intenderci, non è un funerale, è la “festa del ritorno in GEA”».

«Perché tenete tanto a questo gesto? Perché distribuire le ceneri in natura? Alcuni di voi hanno addirittura fatto un altro passaggio. Hanno “esposto” i cadaveri alla decomposizione in natura, hanno abbandonato i corpi dei loro cari in un bosco o su una scogliera… Perché? Davvero non capisco, mi è sembrata una cosa un po’ macabra. Di cattivo gusto, ecco!».

«Beh, sì! L’esposizione è un atto davvero estremo. Ma noi non abbiamo “il corpo di guardia dei testimoni di GEA”, non controlliamo tutto quello che fanno i seguaci di GEA. È vero, alcuni di loro hanno dato una interpretazione un po’ “estrema” alla nostra filosofia… In linea di principio è giusto: quale miglior modo per tornare in GEA se non attraverso l’esposizione? Mettere il corpo a totale disposizione di GEA, tornare ad esserne parte nella maniera più naturale possibile, come è sempre stato in natura! In fondo, l’uomo è l’unico animale che seppellisce i propri morti e lo fa perché crede in una vita dopo la morte. Ma, nel momento in cui comincia a credere che il passaggio alla vita dopo la morte avvenga attraverso la dissoluzione del corpo, la trasformazione dell’energia vitale… allora, perché non farlo avvenire come avviene in natura? Anche alcuni popoli himalayani lo fanno: abbandonano i loro defunti in cima alle montagne affinché gli avvoltoi portino le loro anime in cielo, passando attraverso i loro corpi. Gli elefanti hanno dei cimiteri, nei quali vanno a morire, decomponendosi. È, nel mondo animale, la cosa che somiglia di più ai riti funerari umani…».

Qui, caro EL, vi rischiate tutto! Da quando vi seguo, è proprio su questo punto che vi ho visti vacillare di più. Non avete “il corpo di guardia”, come lo chiami tu? Beh, fatelo! Quello che si comincia a vedere in giro è davvero scandaloso. Questo “tornare in GEA” vi sta sfuggendo di mano. 
Proprio due giorni fa, mentre preparavo l’intervista, ho letto il post di un tizio che diceva di aver salutato sua moglie portandola in cima alla loro montagna preferita. Nei vari commenti ce n’era uno che chiedeva se avesse preferito le ceneri o l’esposizione, e lui, candidamente, ha dichiarato che l’aveva lasciata “esposta a GEA”. Per fortuna la polizia postale controlla questi idioti e, dopo un accertamento, ha arrestato lui e cremato d’ufficio lei. 
E, purtroppo, non è stato un caso isolato. Abbondano, in rete, gli idioti così. Abbondano. 
Ed ora EL, ora che sei qui, dovrai giustificarti per aver dato inizio ad un’isteria collettiva del genere!
Ecco il mio affondo… il morso letale. 
GNAM! 

«Ma non va bene, lo capisce? Se tutti cominciassero ad abbandonare corpi in giro per il mondo sarebbe un disastro, tornerebbero a diffondersi un sacco di malattie! È immorale!».

«Certo che lo capiamo! È per questo che non pensiamo che sia la strada migliore per tornare in GEA. Le stavo solo spiegando perché alcuni seguaci lo hanno fatto.
Noi preferiamo il rito delle ceneri. Perché? Perché in questo modo le ceneri possono tornare nel ciclo vitale di GEA, nutrire una pianta, un’alga, un pezzo di foresta... Quelle molecole tornano direttamente in GEA. Per questo bisogna spargere le ceneri!
Preferiamo la cremazione alla sepoltura perché, rispetto a questo principio, al tornare in GEA, diamo precedenza ad un altro principio: la priorità! Noi uomini dobbiamo lasciare più spazio agli altri abitanti di GEA. Ne occupiamo già tanto, troppo, in vita, che preferiamo non occupare spazio anche dopo la morte. Preferiamo lasciare spazio, sulla terra, ad altre attività, non sprecandone con la costruzione di cimiteri ed altri luoghi simili dove si pratica il culto dei corpi».

«Chiaro! Grazie. Ho sanato molti miei dubbi. Cosa mi dice però di chi, praticando l’esposizione, trasgredisce la legge? Come vi comportate?».

«Lasciamo che le autorità facciano il loro mestiere. Chi trasgredisce deve essere punito. A volte, se lo scopriamo prima delle autorità, lo segnaliamo noi stessi. Vede, il principio è semplice: in qualunque sua accezione, la rete si fonda su delle regole, se si trasgrediscono, la rete non riesce a stare in piedi. Questo vale anche per le regole che si danno gli uomini. Se una regola non è giusta, si lotta per cambiarla, non si trasgredisce e basta».

Mi hai fregato, lo ammetto, non potevi uscirne meglio. Ve la siete studiata bene, la cosa.
Saltella e sfugge Zanna Bianca… Porca vacca!


Marco Mastroleo, Latina 21/02/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 11, continuerà il viaggio sull'Isola di Ponza...
(il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Ringraziamenti:

Come sempre, Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

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